venerdì 13 dicembre 2013

I Comuni italiani e le agenzie mercantili nell'Oriente Latino

Molto interessante a mio avviso il rapporto tra le città-stato italiane e i regni sorti dopo la Prima Crociata. Già nel 1098 i Genovesi avevano soccorso i crociati partecipando all'assedio di Antiochia. Boemondo, in virtù della loro prodezza, concesse alla Città di Genova l'uso di un fondaco ( un gruppo di magazzini con una corte centrale), di un pozzo e di tredici case. Le Città marinare di Pisa, Genova e Venezia furono le maggiori presenze in Oriente, ma anche città come Saint-Gilles o Narbona e le comunità sicule si erano fatte sentire in Oriente, con molto minor peso e la loro presenza era di carattere diverso. Sugli italiani invece possiamo dire che era un vero e proprio mondo commerciale, non privo di lembi di terra che appartenevano in toto al comune, tanto da creare in città grandi come Antiochia, Acri e Tripoli dei veri "quartieri", che altro non erano se non piccole piazzeforti degli stati italiani. Solitamente ogni città italiana possedeva nei centri abitati crociati una chiesa, un molo, un fondaco e una serie di abitazioni per chi, tra gli italiani, aveva deciso di trasferirsi. Il carattere mercantile dei quartieri italiani difatti rendeva questa permanenza molto particolare: nella maggior parte dei casi la città lasciava un proprio ambasciatore detto "console" e il suo entourage nella città, a carattere fisso ( quindi viveva in Terrasanta) mentre la maggior parte dei cittadini del quartiere vi rimaneva solo quei giorni necessari allo smercio, per poi ripartire per mare. Difatti, più che di case, è bene parlare di veri e propri alberghi. I servigi che le città marinare svolgevano per i regni crociati erano di indubbia importanza: smercio di armi e di prodotti occidentali e orientali, trasporto di truppe fresche e pellegrini dall'Occidente, servizio postale. Difatti, non di rado i sovrani crociati fecero importanti lasciti ai Veneziani e ai Genovesi per i loro meriti: fu con la conquista di Cesarea nel 1104 che i Genovesi ottennero infatti del Santo Graal, che fu poi condotto a Genova e che divenne parte dello stemma per tutto il Medioevo. Alcune donazioni molto importanti da ricordare sono per i Veneziani la concessione di Boemondo II di un terzo della città di Tiro alla Serenissima, con la clausola di dover giurare atto di vassallaggio a lui in quel quartiere. Per i Genovesi invece Bertrando, per impadronirsi di Tripoli, donò alla Repubblica un castello nelle vicinanze della città, l'ampliamento del loro quartiere e un terzo della città!Occorre anche dire che questi quartieri avevano l'esenzione dalle imposte ( dei regni ove erano ospitati), diritti giudiziari privati - il privilegio di avere un tribunale gestito dai propri concittadini - e il privilegio di extraterritorialità, con tutte le varianti del caso. Il console difatti giurava fedeltà al Re crociato, ma anche rinnovava la sua fedeltà al Comune di appartenenza. Spesso queste agenzie mercantili divenivano vere e proprie colonie, tant'é che molti prodotti orientali come seta, sapone, zucchero e profumi passeranno solamente attraverso le comunità italiane verso i mari occidentali. Purtuttavia, almeno per tutto il XII secolo, i principali canali commerciali erano ancora Alessandria d'Egitto e Costantinopoli. Il mercato crociato più importante senza dubbio era Acri: pepe, spezie, incenso, droghe medicinali, profumi, sete, zucchero, avorio, marocchino, mussola, cotone, indaco, allume, ceramiche, vino, olio... tutto passava per Acri. D'altro canto l'Occidente inviava sui mercati orientali carne, grano, frutta secca, vino decisamente di miglior qualità. I mercanti vendevano, e si rifornivano di nuova merce nello stesso porto, col risultato che le navi non erano mai vuote; e ciò influì sullo sviluppo enorme della pirateria musulmana nel basso Medioevo. Sempre su Acri, Matteo di Parigi ci annota con grande stupore che il Signore di Acri otteneva dalla città, come tassa mercantile, qualcosa come 50'000 lire annue: un decimo delle entrate che riceveva il Re di Francia sui suoi interi domini. E' una cifra enorme, contando come gli sgravi fiscali e le esenzioni per i Comuni o per singoli mercanti particolarmente cari fossero anche molto generosi. Le agenzie mercantili, tuttavia, non erano solamente in mano agli italiani: è interessante la Confraternita di Mosserin, i cui fratelli si davano al commercio di pietre preziose fin dal 1221, famosa per essere stata invischiata nei conflitti etnici tra fazioni cristiane ad Acri tra il 1256 e il 1290. Questa Confraternita era infeudata all'Ordine del Tempio, sebbene fosse composta, si dice, prevalentemente da cristiani di rito nestoriano. Il complesso rapporto monetario tra regni, che dopo la Prima Crociata diventa a dir poco labirintico, viene affidato prevalentemente agli Ordini Cavallereschi del Tempio e dell'Ospedale, coi loro cambiavalute disposti in fondachi autonomi. Eppure, i sempre-verdi nomi delle famiglie italiane sono sempre presenti. 

Da: "La Grande Storia delle Crociate" di Jean Richard

giovedì 14 novembre 2013

Medioevo - Situazione religiosa in Oriente dopo la Prima Crociata ( XII secolo)



A seguito della conquista di Gerusalemme nel 1099 si formò con rapidità disarmante una società mista di franchi e di "orientali": siriani, armeni, bizantini, musulmani. Legami familiari si intrecciano: musulmani ricevono il battesimo, armeni e siriani sono liberi di mantenere i loro culti, purché riconoscano il nuovo Patriarca "latino" di Gerusalemme come pienamente valido. I musulmani sono lasciati liberi di seguire la religione di Maometto purché paghino una tassa di religione - procedimento che loro stessi avevano adottato in Egitto o in Sicilia verso i cristiani. Gli Ebrei, a dispetto di quanto si dice, furono in seguito lasciati liberi e non subirono ritorsioni. L'eccidio della conquista di Gerusalemme derivò da un mancato seguito all'ordine impartito dai capi franchi, che avevano comandato di non ritorcersi contro la popolazione della città santa. Ma fu inutile. 

Fin dal 1098 i crociati si ritrovarono con cattedrali espropriate agli emiri, e non appena vi entravano, riconoscendovi una sede cattedrale, senza troppo preoccuparsi di quale giurisdizione ecclesiastica fossero, vi insediavano qualcuno dei numerosi vescovi che avevano seguito la Crociata, poiché i vescovi orientali erano in parte fuggiti o prigionieri dell'esercito musulmano. L'asservimento dei vescovi orientali al patriarca latino si può dire che fu la tattica che Urbano II aveva comandato fin dall'inizio, quando ancora mostrava di volersi egli stesso imbarcare. Non fu assolutamente difficile prendere possesso dell'antica e nobile sede patriarcale di Antiochia; mentre nel regno di Gerusalemme il susseguirsi dei patriarchi latini (alias franchi) seguì un iter preoccupante. L'elezione di Arnolfo di Choques era senza dubbi irregolare, difatti fu deposto da Daimberto, che sfruttò i suoi poteri di legato papale, appena sei mesi dall'elezione. Eppure lo stesso Daimberto fu spodestato da un certo Evremaro. Un nuovo legato depose quest'ultimo e venne eletto a Patriarca. Arnolfo riprese possesso della sede patriarcale sfruttando il suo titolo di Arcidiacono del Santo Sepolcro, carica influentissima che di fatto era la porta d'ingresso per il seggio episcopale. L'appoggio di Re Baldovino ad Arnolfo fece il resto. Le sedi di Cesarea, Scipoli e Petra furono ricostituite solo nel 1101, ma Scipoli perse il ruolo episcopale in favore di Nazareth nel 1128. Betlemme sarà elevata a sede vescovile nel 1099. Il Papa di turno mai si preoccupò di interferire con la nascita di queste sedi, purché lo commemorassero - la commemorazione era fin dall'antichità un modo ufficiale di dichiararsi parte di una giurisdizione ecclesiastica. Gerusalemme annetté dopo ampie proteste da parte dell'Arcivescovato di Tiro anche le sedi episcopali della Fenicia, Nel 1168 si aggiunsero altre sedì: Kerak, Ebron e Sebaste, ove vi è la tomba del Precursore, Giovanni il Battista. Questo enorme numero di vescovati lascia ritenere che i franchi alzassero a vescovato tutte quelle città che erano meta di pellegrinaggio. Ben presto si pose un problema: le chiese ortodosse e la chiesa cattolico-romana, nonostante lo scisma del 1054, erano ancora molto simili, ed entrambe avevano firmato il Concilio dei Sardi, nel quale si vietava la coesistenza di due vescovi nella stessa sede. Un grande problema per il clero cattolico appena insediato! Si risolse col compromesso: i "greci" avrebbero insediato in ogni sede un vicario patriarcale, al quale il clero ortodosso locale avrebbe obbedito. Ma questo vicario avrebbe giurato, in teoria, fedeltà al vescovo latino. Eppure, nonostante le premesse per un disastro religioso, le fedi cristiane mai si combatterono troppo. Abbiamo notizie di conversioni al cristianesimo latino da parte di greci e armeni, sia da latini verso l'ortodossia, frutto dei matrimoni misti.
Gerusalemme era la città principalmente coinvolta nella rete di pellegrinaggi che partiva dall'Europa. I regni cristiani avevano una sottile rete di locande, prebende, alloggi e ospedali per pellegrini, gestiti tanto dai laici quanto dalle chiese, e non si era mai lasciati soli. Già abbondavano i procacciatori e venditori di "reliquie" per le strade delle città. Gli Ordini Cavallereschi assicuravano una relativa pace per le strade, e si occupavano di seguire le carovane di pellegrini per proteggerle dagli assalti della feccia o dai musulmani. Un vasto mercato di oggettistica sacra era in funzione già durante la marcia dei crociati, e si intensificò con il consolidarsi d

FONTE

storia delle crociate, Jean Richard - volume I






martedì 5 novembre 2013

Medioevo - L'esperienza del primo convento femminile, ad Arles ( VI secolo)

Nel 513 il Vescovo San Cesario di Arles redige una regola per delle vergini che vogliono vivere in congregazione presso la chiesa di Saint-Jean, in quella parte di Gallia invasa dai Franchi. Siamo agli albori del Medioevo. Purtroppo ciò che rimane del monastero di Saint-Jean-le-Moustier non ci consente di ricostruire la struttura del Monastero, ma è possibile ricostruire fedelmente la vita di queste monache dell'Alto Medioevo, del primo nucleo occidentale di una congregazione femminile. San Cesario prese a modello la Regola di San Benedetto da Norcia, sebbene per le donne non avesse previsto grandi rinunce in  cibo e bevande, ritenendo già sufficiente la grande privazione della verginità perpetua. Il periodo di noviziato durava genericamente un anno, anche se la Madre Badessa aveva la facoltà di decidere se allungare o meno il periodo di prova valutando caso per caso. San Cesario insiste sulla povertà di spirito e quella del corpo: la postulante non può divenire novizia se prima non ha dato tutto ciò che possedeva. Non vi sono ricche e plebee: ognuna delle monache veste un abito bianco cucito dalle consorelle e tutte non hanno che un letto, i libri per la preghiera e gli oggetti quotidiani. Nella Regola di San Cesario notiamo con una certa impressione come egli prescriva per le sue monache dei frequenti bagni, sollecitandole spesso durante tutto il programma.

Ogni giorno le monache ricevevano una certa quantità di lana da filare in silenzio. La pratica del silenzio era molto rispettata. A turno ciascuna cucinerà per le altre, e infine dedicheranno almeno due ore del giorno alla lettura silenziosa delle Scritture.

Oltre allo studio e alla frequentazione dei Sacri Uffici, compito specifico delle monache di Arles era la cura degli ammalati, sistemati in una infermeria non lontano dal complesso monastico. Le consuetudini di questo monastero sono raccontate in modo molto dettagliato da una raccolta del IX secolo:
La monaca si alza a mezzanotte e recitando il salmo XXIV ad te Domine levavi animam meam si affretta verso l'oratorio dopo aver velocemente sopperito alle necessità corporali e alla vestizione, e si unisce alle sue consorelle, si inchina dinnanzi all'altare e si pone in preghiera silente. Il campanello segnerà il momento in cui il coro inizierà a leggere l'ufficio. Concluso il canto la congregazione torna al riposo fino alle sei del mattino, quando iniziano le Laudi. In queste sei ore è previsto il silenzio assoluto. Alle Laudi succedono l'Ufficio dell'Ora Prima e poi la Confessione dei Peccati in pubblico, dinnanzi a tutta l'assemblea. Dopo un periodo di riposo vanno a lavarsi, e successivamente seguono la Messa della mattina e cantare l'Ora Terza. La Celleraia e coloro che sono deputate ad aiutarla preparano la colazione, composta da un quarto di libbra di pane e da delle bevande. Durante il pasto vige silenzio assoluto e nessuno può mangiare finché la Badessa non si siede e da il permesso. La Badessa invita la Lettrice a leggere brani di libri di Padri della Chiesa, di Detti o di Sacre Scritture. Al limite vengono letti proclami imperiali qualora siano di portata anche nel Monastero. Dopo il pasto esse si recano alla sala capitolare nella quale la Cantora ( colei che gestisce il coro) espone il santo del giorno, il calendario e la luna. Sempre nel Capitolo si legge un brano della Regola e si ha la pubblica confessione, nella quale le suore indicano i peccati le une alle altre, e ricevono l'assoluzione dal cappellano;  Segue una pausa di libertà nella quale le suore possono parlare nel chiostro o altrove, purché non siano in chiesa, nei dormitori o nel refettorio: in questi luoghi il silenzio è assoluto ad ogni ora. A mezzogiorno c'è l'ufficio di Sesta e una seconda Messa, dopo la quale le suore si lavano le mani: vengono battuti i famosi "cento colpi" sui piatti o sul cimbalo per invitare le suore a pranzo. Dopo il pasto segue la siesta, dove le suore dormono o leggono, o passeggiano nel chiostro. Al risveglio si canta la Nona, e ad un cenno della Madre Badessa esse possono andare a bere un bicchiere di vino, tenuto in serbo dal pranzo sul tavolo della mensa. Tre colpi di cimbalo segnano l'inizio del lavoro manuale; la giornata si conclude alle sei, con un pasto leggero, seguito dai Vespri, e al tramonto canteranno la Compieta, dopodiché saranno spente le lampade e le monache potranno andare a dormire. La clausura non esisteva nei conventi femminili dell'Alto Medioevo - essa sarà resa regola formale solo sotto Bonifacio VIII nel 1298 - e le suore potevano uscire due a due, purché per faccende inerenti il convento, i poveri, i bisognosi o loro stesse,  ed erano tenute a non bighellonare. Abbiamo quindi un ritratto di una vita viva: le suore erano copiste, miniaturiste, contadine e molto altro, e si occupavano dalla vita scolastica dei fanciulli, sia maschi che femmine.

FONTE
Régine Pernoud, la donna al tempo delle cattedrali - RIZZOLI

lunedì 28 ottobre 2013

Occidente Perduto: Screen, Iconostasi, "Barriere". Il senso dello spazio sacro nelle chiese medievali dell'Occidente Latino

Voglio soffermarmi in modo particolare su quelle che in Inghilterra chiamano “screen”, ossia “barriere”. Esse sono strutture, spesso colonnati di legno, che dividono il presbiterio dalla navata e che, originariamente, dovevano essere molto comuni a tutto il mondo cattolico-romano, in quanto sono la controparte occidentale dell’Iconostasi orientale. Cos’è una Iconostasi, e qual è il suo senso?

La prima Iconostasi fu installata a Costantinopoli nel XII secolo, ed è frutto dell’ipertrofia del culto delle icone a seguito della vittoria sulla fazione iconoclasta da parte dei difensori della liceità del culto delle icone. Abbiamo già abbondantemente discusso dell’Icona nella prima parte di questo volume, non mi ci soffermerò. L’Iconostasi è appunto quel supporto di legno, di pietra, di marmo, che era deputato a sorreggere le icone, e venne installato tra la navata e il presbiterio delle chiese orientali appunto per mostrare che era possibile venerare le immagini. Strutturalmente, in ogni iconostasi le porte centrali o “regali” sono attraversate solo dal diacono e dal sacerdote, e sono aperte all’orario di culto, mentre le porte laterali dette “diaconali” sono usate dal diacono per le funzioni sul bordo ( come la recita delle litanie) e dai ministranti, cerofori o suddiaconi. Su ogni iconostasi vi devono essere una immagine della Madre di Dio e una di Gesù Cristo, solitamente sulla parte superiore troviamo i Dodici Apostoli, sui muri in basso i santi della chiesa o santi importanti; Sulle porte diaconali troviamo santi diaconi o angeli. Essa ha inoltre una funzione simbolica, quella di ricordare il Velo del Tempio di Gerusalemme, di delimitare uno spazio sacro (il presbiterio, il luogo dell’altare, del culto) da quello dell’uditorio. La stessa funzione in Occidente era espletata dalle “screen” – in italiano non c’è un termine corrispondente – e dalle balaustre. L’origine non doveva essere quella di oscurare la vista della liturgia ai laici, tant’è che le screen, essendo “vuote”, ben si prestano anzi a essere un collante paradossalmente tra i preti e i fedeli. Eppure, in Germania ho trovato una vera e propria Iconostasi Gotica. Il seguente compendio fotografico, completo quando possibile di indicazioni sul luogo e sul periodo storico, fornirà una piccola testimonianza di ciò che almeno in Italia non siamo abituati a vedere.

chiesa dei Santi Remigio e Margherita in Inghilterra. Questo era probabilmente il prototipo di barriera comune nelle chiese latine del Primo Millennio

Vera e propria iconostasi gotica a Naumburg, in Germania, eretta nel 1245

screen nella cattedrale di San Marco a Venezia

L'articolo è tratto dal saggio "Occidente Perduto" di Marco Mannino Giorgi che ne detiene i diritti letterari

martedì 22 ottobre 2013

Medioevo - La Monarchia medievale: simboli, caratteristiche, senso del potere

Legittimità del sovrano

Nell'Europa medievale le vie d'accesso al potere regio, se esclusa l'usurpazione, sono l'elezione, la designazione del successore da parte del sovrano, oppure "guidata" da Dio attraverso la vittoria di una battaglia, e infine la successione dinastica. Nell'Alto Medioevo la designazione dei sovrani era piuttosto incerta, poiché da un lato provenivano da popoli barbari le cui usanze spesso erano elettive, e anche perché l'andirivieni dei popoli barbari che si lottavano l'esiguo spazio europeo proseguì fino all'arrivo degli Arabi nella Spagna. L'antica usanza barbara del Gavelkind, ossia della divisione dei possedimenti in parti uguali tra tutti i figli, viene presto soppiantata dal principio della primogenitura. Molto delicato è parlare di usurpazione, poiché può essere legittimata con la "legge di Dio", ossia se il re usurpatore è benedetto dalla Chiesa o da palesi manifestazioni della divina volontà. Nel primo caso posso citare sicuramente gli Altavilla , che con la benedizione del Papa poterono sbarcare prima in Inghilterra e successivamente in Sicilia e farne il loro possedimento; dall'altro lato ad esempio il passaggio da Carolingi a Capetingi: la realtà di chi deteneva il potere fu una motivazione sufficiente. Ogni regno aveva i suoi rituali per legittimare il sovrano da incoronarsi. L'esempio più notevole lo troviamo in Francia, dove il Re si dipartiva per Reims, dove anticamente San Remigio aveva battezzato Clodoveo, il sovrano dei Franchi, e durante la Santa Messa veniva investito del potere reale attraverso l'unzione con il myron della Sacra Ampolla, che si dice perpetuata direttamente da San Remigio. La sacralizzazione della Monarchia fu l'effetto cristianizzante delle lande barbare, ma non fu l'unico caso. Ancora nel XX secolo la monarchia austro-ungarica riceveva l'investitura imperiale con doppia liturgia, cattolica e ortodossa. Nella quasi totalità dell'Europa i principi e i re venivano investiti del potere regio durante una Messa. La descrizione che segue è l'incoronazione del principe Vlad III Tepes di Valacchia (1456), che quindi è un sovrano minore, ma potrebbe rendere l'idea:
"L cerimonia dell'incoronazione spettò al Metropolita ( arcivescovo) e ai grandi boiardi. (...) L'unzione dei principi si svolgeva col sacro crisma, preparato a Costantinopoli dal Patriarca e dai suoi vescovi, composto da balsamo, olio d'oliva e altre trenta sostanze. Il futuro sovrano veniva condotto dentro lo spazio sacro dell'altare maggiore e quando il Metropolita finiva la sua preghiera con "Adesso chiediamo che la grazia del Santo Spirito scenda su di lui" il coro cantava "è degno" per tre volte. In seguito il voivoda veniva spogliato e rivestito di abiti principeschi (...). Le altre onorificenze gli vennero consegnate al momento dell'incoronazione e furono la corona d'oro, lo stendardo della nazione, lo scettro ( topuz in romeno) la spada e la sciabola, e infine la lancia. Gli venne offerta come di norma la Croce del Salvatore affinché la baciasse ( nel rituale ortodosso a conclusione della Liturgia si bacia la Croce, ndr). Il principe si assise dunque sul trono e tutti i presenti si presentarono in fila dinnanzi a lui per baciargli la mano destra: il metropolita, gli abati, i sacerdoti e i monaci, poi i boiardi, i mercanti e i capitani dell'esercito. L'Indomani il principe si recò nuovamente in chiesa per il giuramento dei feudatari (...) i grandi boiardi misero la mano sul Vangelo e giurarono fedeltà al voivoda. Successivamente il principe spedì lo spathaire ( il comandante dell'esercito) a ricevere gli omaggi dai governatori di tutte le contrade."
Il testo, che ho liberamente riscritto e accorciato, è tratto dall'ottima biografia su Dracula scritta da Matei Cazacu. Con questo testo si nota dunque, come dicevo, l'incoronazione di un piccolo principe; possiamo solo figurarci la maestosità di un Imperatore o di un Re di Francia.

Il Re: simboli e caratteristiche

Il Sovrano era tale perché possedeva, all'interno del Regno di cui era sovrano, un territorio totalmente suo, privo di feudatari, nel quale l'amministrazione era sua diretta competenza. Più grande era questo spazio, e più la sua forza in campo politico cresceva. Inoltre, grande peso in politica estera avevano la legittimità di sangue e le parentele agnatizie. Ad esempio durante la Guerra dei Cento Anni Edoardo III si presentava formalmente come re di Francia, anche se non vi risiedeva, per diritto di sangue. La natura del potere regio si manifestava con i sensi mutuati dal diritto romano di auctoritas e potestas, arricchiti dalla dignitas attribuita attraverso la benedizione della Chiesa, e la majestas, che porterà poi all'esistenza del crimine di lesa maestà da una parte e il "diritto di grazia" dall'altra, ossia il perdono condonato dal Re a chiunque: diffuso già in Castiglia e in Francia nell'Alto Medioevo, divenne effettivo nel XIV secolo in gran parte d'Europa.  La maestà regale era sottolineata anche nell'Arte gotica e romana con le immagini di Cristo-in-Maestà, o Cristo Re. Sebbene non si possa parlare di monarchia costituzionale - fuori dal caso inglese, che nel 1215 sotto Giovanni Senza-Terra diverrà Monarchia Costituzionale - il Re medievale giurava all'atto della consacrazione di tener fede ai suoi impegni rispettivamente verso Dio, verso la Chiesa, verso il Popolo e verso i suoi feudatari. Del resto, il re medievale era vincolato dai canoni della Legge, non era un sovrano assoluto. I nobili più volte si sono appellati al Diritto contro i sovrani. Anche se formalmente Imperatore e Re non sono sinonimi, in quanto imperator era il generale vittorioso, e Rex nell'immagine mutuata dai romani era un tiranno, nel IV secolo si assiste alla fusione improvvisa dell'imperator col rex. Il Papa adottò la Tiara e un trono di tre gradini più alto degli altri troni europei; l'Imperatore adottò il privilegio di indossare "una corona chiusa" a testimonianza dell'Universalità del suo potere, che << chiudeva tutto il creato sotto di sè >>. A sua volta il Re di Francia adotterà la "mano di giustizia" ossia uno scettro adornato con una mano alla sua estremità, indicante la somma autorità giudiziaria del sovrano. Per riconoscere il sovrano presto o tardi arrivarono poi gli stemmi, già comunissimi nei feudatari. Ogni sovrano aggiungeva particolari al proprio casato e li apponeva sul suo stemma privato. Il Sovrano nell'immagine pubblica era talvolta taumaturgo. Che sia un dato reale o fantasioso, testimonia la validità della consacrazione per mezzo di criteri ecclesiastici. Il più famoso rimane Luigi IX, santo per la Chiesa Romana, il quale si dice che curasse la lebbra dei suoi poveri ogni volta che ne toccava uno; In Castiglia abbiamo l'esempio di alcuni re esorcisti, che guarirono gli indemoniati; il primo sovrano ad avvalersi di poteri taumaturgici fu Enrico III d'Inghilterra, salito nel 1216 al potere. Altresì molti sovrani francesi si diceva facessero crescere le messi nei campi al loro passaggio. Queste facoltà da notarsi come non siano ereditarie, ma frutto della consacrazione valida: non si manifestarono sempre, ma solo su alcuni re e in alcuni luoghi. Infine, la santità del Re medievale si manifestava sia con la pietà privata, con la devozione religiosa, e con la cristianizzazione delle proprie nazioni, un vero affare di stato che vide coinvolti tutti i sovrani fino al Basso Medioevo, e anche oltre. Nonostante la Chiesa abbia sempre respinto il rex-sacerdos, da notare come alcuni rituali clericali siano concessi al Sovrano: anche nell'Occidente cattolico-romano il re sale in altare e si comunica sotto le Due Specie ( pane e vino, come i chierici) durante la Messa, e ha il privilegio di vestire la pianeta rialzata sul braccio, come gli ecclesiastici. L'unica figura che coniugò la sovranità temporale col potere spirituale fu il Papa di Roma, che con Gregorio VII assunse il carattere bipolare di governante e di vescovo con paternità universale. Il Papa si richiamava alla figura biblica di Melchisedech, re e sacerdote, ma la negava agli altri principi del mondo. I Re venivano infine riconosciuti già in vita con degli attributi derivati dalle loro condizioni o dalle loro effettive capacità e imprese: tutto ciò li delimitava e li rafforzava assieme. 

Re, Imperatore e Papa

Nel corso del medioevo pur tuttavia avviene che spesso si è Re, ma non si è Imperatore. Nell'Oriente cristiano vediamo l'Impero Romano d'Oriente, molti principati e potentati autonomi, e sovrani indipendenti. Se invece ci focalizziamo sull'Europa Occidentale, troviamo un Imperatore che si sdoppia in Re di Germania e in Re dei Romani, ma assume quest'ultima carica solo se riesce a farsi incoronare dal Papa a Roma, il che avviene raramente. Tralasciando qua il senso profondo del senso meta-politico dell'essere Imperatore dei Romani, osserviamo piuttosto come si arrivò al papato temporale. Ratione peccati il Papa Gregorio VII nel suo Dictatus Papae contrappose la superiorità del papato e quindi dello spirituale sul temporale, in contrasto con gli imperatori, che detenevano la superiorità temporale e pretendevano privilegi sul clero. Paradossalmente i due poteri forti del medioevo, Papa e Imperatore, presto perdono la loro esclusività, a causa del principio elettivo per entrambi. Ovviamente il Papato rimase e rimane elettivo, poiché fondato da ecclesiastici celibi, e decade direi causa di forza evidente il principio dinastico; Nonostante alcune dinastie si siano poggiate sull'ereditarietà, anche l'Impero Germanico era in fin dei conti elettivo. Proprio per questo, i Re nazionali, con la continuità del potere, riescono a fondare stati più forti ed efficienti. 

Il regicidio

Se il Re ha carattere sacro, eppure ciò non basta perché si eviti il tirannicidio. Uno dei criteri di legittimazione dell'uccisione di un re era l'essere stato incoronato da un anti-papa, o crimini affini: eresia, rifiuto di partecipazione a crociate, inettitudine al comando. A metà del XII secolo Giovanni di Salisbury condannò il tirannicidio eppure nel 1407 Jean Petit, il rettore dell'Università di Parigi, giustificò l'assassinio del Duca d'Orleans appellandosi alla santità della causa del tirannicidio. Da qui la domanda: quando è possibile il regicidio? quando abbiamo dinnanzi il rex inutilis, o il sovrano malvagio. Qui dunque possiamo capire come fondamentale è il concetto nel Medioevo di un Re che vive e lavora nell'interesse del popolo. 

La Corte

Sempre a Giovanni di Salisbury dobbiamo la diffusione del motto "rex illitteratus quasi asinus coronatus". Il Sovrano dunque dev'essere istruito. Con lo sviluppo dell'Università e la ripresa della cultura scientifica nel XI secolo ( la prima Università fu aperta a Bologna nel 1088) anche le corti dei sovrani si riempiono di studiosi laici. Infatti è ingiusto dire che nell'Alto Medioevo non vi fossero a corte uomini di scienza. Ricordiamo giustamente la Corte di Carlomagno, o quella dei sovrani Longobardi, e sarebbe un crimine ritenere una Roma papale incolta, ma il sapere era veicolato principalmente dai sacerdoti e dai monaci, che ebbero cura di salvare la sapienza. Ma dall'anno Mille in poi assistiamo ai "Re Letterati" come Alfonso X di Castiglia ( XIII secolo) detto "il Saggio" o Carlo V di Francia ( XIV secolo) detto il "Re Aristotelico". Il paradosso è che se nell'Europa continentale assistiamo alla rinascita della corte culturale, in Inghilterra i sovrani da Giovanni Senza-Terra in poi non scrivono più correttamente in latino. Nella metà del Duecento inizia a diffondersi l'etica di corte a livello sempre più morboso, la curialitas,ossia l'etichetta, sopratutto in Francia e nelle Signorie italiane, dalle quali i sovrani europei prendevano il buon gusto e le regole dell'etichetta.  Il Rex amabilis ossia un sovrano raffinato, di buon gusto, che eleva tanto i suoi cortigiani quanto i suoi sudditi di bassa estrazione, propenso all'umorismo e alla vita sana, è un attributo agognato da molti sovrani basso-medievali, e va di pari passo col rex pacificus. Quest'ultima connotazione ha un carattere quasi escatologico, una funzione preparatoria: il sovrano pacificatore e pacifico istruisce i suoi sudditi e li prepara a vivere nel regno dei santi che verrà col ritorno di Cristo. Non sorprende infatti che Luigi IX verrà canonizzato da Bonifacio VIII col titolo di "re pacifico". Il Cortigiano, l'uomo che forma il seguito del re o di un potente signore, non è più solo un guerriero - come era nell'alto medioevo - ma la Corte si riempie di numerosi personaggi: giuristi, preti, artisti, uomini di vario genio, mercanti, medici, astrologi, economisti. La Corte Medievale è sempre più ricercata.

Bibliografia:
Jacques Le Goff - Il re medievale
Jacques Le Goff - La vita nel Medioevo
Matei Cazacu - Dracula

lunedì 30 settembre 2013

Venezia - Agostino Barbarigo, il Doge del Rinascimento



Il Quattrocento vide un susseguirsi impressionante di Dogi, il più spettacolare dei quali fu Agostino Barbarigo, fratello del precedente doge, Marco. L'elezione di Agostino avvenne il 30 agosto 1486, dopo che il suo avversario si ritirò appoggiandolo. Agostino era il candidato ideale per la reggenza: con un patrimonio di 70'000 ducati aurei e una  brillante carriera di generale alle spalle, in un'epoca dove i capitani e i banchieri iniziavano a imporsi, era semplicemente perfetto. Le vecchie famiglie patrizie tuttavia non gradirono l'elezione di Agostino, quasi che fosse per merito del defunto doge che il fratello avesse ottenuto la reggenza. Agostino fu un dittatore, un vero e proprio despota: limitò quanto poté l'attività del Maggior Consiglio e governò in totale libertà, estromettendo le famiglie patrizie. Tuttavia nessuno si permise di fermarlo, e visse da sovrano. Addobbò magnificamente il suo palazzo tempestandolo di incisioni del suo stemma, e abbellì la città con sfarzo principesco. Pretese il baciamano a chiunque si presentasse, e questo doveva ricordare le abitudini bizantine del millennio che si erano lasciati alle spalle; Uno dei suoi meriti per la Serenissima fu l'acquisizione dell'isola di Cipro, donata dalla regina alla Repubblica.  Perse invece le fortezze nel Peloponneso in una guerra coi turchi nel 1499-1500. Eppure, nonostante la città di Venezia risulti abbellita con nuove chiese ( ad esempio Santa Maria dei Miracoli) o con nuovi elementi tecnologici ( come l'orologio in piazza S. Marco), la società veneziana è sempre più corrotta. Le prostitute di alto bordo, particolarmente, diventano un elemento politico: il 25 marzo 1498 il consigliere del Senato Antonio di Landi verrà appeso alla forca dopo la denuncia esposta da una nota cortigiana - Laura Toilo - alla quale confidava, dopo gli amplessi, importanti segreti del Senato. Il 20 settembre 1501 Agostino muore, odiato dai ricchi, ma applaudito da patrizi e da plebei. La recita si è conclusa. Escono fuori tutti i suoi errori, tra cui moltissimi errori economici e perdite enormi. Ciò nonostante egli non subirà mai la damnatio memoriae - che a Venezia era usuale sui dogi "scomodi" per la memoria popolare -  e il suo ritratto rimarrà nella sala del Maggior Consiglio. Gli succedette Leonardo Loredan.

fonti: "Dogi, Storia e Segreti" di Claudio Rendina






venerdì 27 settembre 2013

Medioevo - Il Cristianesimo della Rus' di Kiev

In occasione dei 1025 anni di Ortodossia russa, capitati sotto la reggenza di Sua Santità Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, propongo in questo articolo, la cui fonte sarà la monumentale opera di N. V. Riasanovsky "Storia della Russia" , un breve riassunto di quello che fu un vero e proprio "battesimo nazionale". 

Il Cristianesimo ortodosso arrivò in Russia e prese posto nelle masse verso il XI-X secolo, portato da missionari di Costantinopoli, dai racconti di viaggio dei ricchi mercanti variaghi o da personalità inviate dal giovane regno della dinastia di Rurjk. Il modello bizantino incise sulla forma, a maggior ragione perché il primo vescovo di Kiev di cui si porti memoria, San Michele I "l'Iniziatore", si pensa fosse di origine siriana. Pur tuttavia, come l'ortodossia antica insegna, la religione si adagiò sul Popolo e nacque presto una forma "russa" di cristianesimo, quantunque la celebrazione fosse inizialmente in greco e il clero fosse ancora prevalentemente di importazione greco-balcanica. La vastissima influenza sull'arte, sull'architettura e sulle usanze popolari della fede ortodossa testimoniano in modo pieno la riuscitissima evangelizzazione e la russificazione del Cristianesimo. Sempre a San Michele Metropolita viene attribuito niente poco di meno che il battesimo di (San) Vladimir, sovrano di Kiev e della sua famiglia nel 988 d.C., e successivamente di tutto il popolo russo immerso nel Dnepr; Anche la costruzione della Cattedrale della Dormizione a Novgorod e la fondazione del Monastero di San Michele della Cupola Dorata gli sono attribuiti. Il progressivo nascere di santi kievani autoctoni testimonia lo sviluppo della fede, sopratutto ricordiamo i santi Antonio e Teodosio delle grotte, vissuti nel XI-XII secolo, monaci eremiti. Sant'Antonio si formò sul sacro Monte Athos e poi si diresse in Russia fondando il celeberrimo Monastero delle Grotte, Печерская Лавра, presso Kiev, dandosi alla lotta interiore e all'ascesi; Il suo discepolo Teodosio, nonostante fosse anch'egli intento nella lotta spirituale, fu un interessantissimo esempio di pietà devozionale per i bisognosi, le vedove e i derelitti, anticipando grandemente i Comuni medievali italiani nella formazione di Ostelli per i poveri e di istituzioni pie che fornivano aiuto agli indigenti. La Chiesa Russa ebbe nel periodo Kievano solo due vescovi autoctoni, Ilarione nel XI secolo e Clemente nel XII; la dipendenza da Costantinopoli, la quale elevò la sede di Kiev a Metropolia, permetteva una certa libertà dall'autocrazia reale; i rapporti fra la Chiesa Madre di Costantinopoli e la Metropolia di Kiev erano di collaborazione e di rispetto.

La Chiesa kievana, come ogni chiesa medievale, si ritrovò piena di possedimenti, di tenute e di lavoranti,  in un primo momento acquisiti da donazioni di ricchi pii e da lasciti di sovrani. La Chiesa ebbe una notevole influenza, come è facile immaginare, sulla didattica e sull'insegnamento, con l'apertura di timide scuole domenicali che non evolvettero tuttavia in Università. Il grande influsso dell'attività missionaria è testimoniato dal "Testamento" del principe Vladimir II Monomaco, nel quale egli ricorda ai destinatari l'esercizio dell'elemosina e della pietà. La Chiesa Cattedrale di Santa Sofia di Kiev fu costruita nel 1037 e ricalcava pienamente la ben famosa omonima di Costantinopoli; progettata anch'essa da mastri architetti provenienti dalla Grecia, presenta una pianta a croce greca. A Novgorod un'altra Santa Sofia sarà eretta nel 1052 sempre da maestranze greche. Mosaici e affreschi ornavano le chiese kievane; Santa Sofia di Kiev aveva al suo interno colonne di alabastro e di porfido e marmo, di rara bellezza. La Cattedrale dell'Intercessione della Vergine invece è a pianta rettangolare con tre absidi e un'unica cupola, contrariamente alle due sovracitate. E' da tutti lodata come la più alta realizzazione dell'arte sacra kievana. 

Per la lingua liturgica, non possiamo non menzionare i santi Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi, i quali iniziarono la loro predicazione in Bulgaria utilizzando un'edizione del Nuovo Testamento, degli Atti degli Apostoli, dell'Apocalisse e dell'Orologhion tradotta dalle loro mani in un dialetto bulgaro natio, dalle parti di Salonicco. Essi diffusero quindi il cristianesimo nei Balcani attraverso un dialetto parlato, in un alfabeto da loro ideato, il Glagolitico, che poi evolverà in Slavonico. Sul finire del X secolo a Preslav, città dell'Impero Bulgaro, nell'Università fondata dai discepoli dei due isoapostoli, l'alfabeto detto Cirillico rimpiazzò il glagolitico. Lo Slavo Ecclesiastico fu adottato come lingua franca nei principati russi, e se ne servivano poeti, amministratori e chierici. Entrò subito come lingua nelle funzioni religiose, rimpiazzando il greco. Fino al XVII secolo fu la sola lingua scritta utilizzata dai russi. A poco a poco, come è naturale, il russo evolvette e lo slavonico fu confinato nella liturgia, anche se tuttora il popolo russo comprende quanto viene cantato nelle chiese. Sarà l'abitudine.

venerdì 28 giugno 2013

Medioevo - La condizione della donna e del bambino

Le donne nella società pre-industriale avevano essenzialmente tre macro-ruoli, i quali assumevano a loro volta diverse sfaccettature. La donna era destinata nella maggior parte dei casi a divenire moglie e madre: le altre due strade possibili erano la via religiosa, contemplativa e di studio, o la via della strada, della prostituzione. Questa tripartizione grossolana tuttavia non può essermi tacciata di sessismo: le cronache del tempo parlano chiaro, la donna è angelo del focolare, madre affettuosa e sposa dedita alla casa, se essa ha coscienza del suo ruolo. Il ruolo di genitrice era così importante nella società medievale e rinascimentale che in Francia e in Italia era prevista, ad ogni parto, una piccola festa, ovviamente proporzionata allo status familiare: il canonico milanese Pietro Casola nel 1494 racconta di come era addobbata la camera da letto di una ragazza della famiglia patrizia veneta dei Dolfin. Duemila ducati almeno era il valore degli addobbi, e centomila ducati valevano i gioielli che le donne di servizio portavano nella settimana del parto. Le madri erano generalmente all'altezza di ciò che era richiesto loro, come testimoniano le settantadue lettere di Alessandra Strozzi, cariche di affetto materno e di consigli pratici. Una gentildonna inglese del secolo successivo, Elisabeth Grymeston, scrisse per suo figlio addirittura un trattato nel quale forniva consigli e ragguagli sul matrimonio, sull'educazione, sulla pietà devozionale e sulla morte. La maggior parte della produzione libraria medievale e rinascimentale prodotta da donne consiste in diari e appunti per i figli. A proposito della morte, se essa non si prendeva la madre, spesso e purtroppo si prendeva i figli. Le statistiche oscillano in una media del 20% dei bambini morti nei primi anni di vita, con vette del 50% in alcuni periodi storici. Cinicamente alcuni cronisti del tempo commentavano questi avvenimenti: il cronista francese Chevalier de la Tour Landry, nel 1371, ad esempio, scrive di non celebrare con troppo fasto una nascita, altrimenti Dio potrebbe riprendersi il bambino a causa dello sfarzo eccessivo. Era diffusa la pratica di far allattare i propri bambini ad altre donne, pratica sconsigliata dai medici dell'epoca tanto quanto dai predicatori. Celebri le frasi di San Bernardino che ricordava come dare il proprio figlio al seno di altre fosse peccato mortale. De Re Uxoria ("Riguardo alle mogli", 1415) è una celebre opera tardomedievale a carattere istruttivo, scritta da Francesco Barbaro, secondo cui è obbligo morale e naturale che la donna allatti il proprio figliuolo. Non scordiamo inoltre che l'allattamento ha un carattere contraccettivo, perché limita la nascita di nuovi figli che all'epoca era fondamentale possedere. Per i bambini più facoltosi c'erano delle balie in casa, per i poveri le sorelle o le amiche delle madri. Una grande tragedia viene raccontata dalle testimonianze dell'epoca: l'infanticidio a opera delle balie. Un dato inquietante, ad esempio, proviene dai documenti del regno d'Inghilterra nei qual i appare scritto che, dal 1578 al 1601, il 6% dei funerali erano di bambini affidati a nutrici. La mancanza di affetto sembra essere una delle cause della morte per mano delle balie, in quanto i bimbi erano lasciati a loro stessi o nutriti con molta riluttanza, avendo la stessa nutrice una decina di bambini di media da accudire, oltre ai propri. Per quelle donne, ricche o povere, che avessero abbandonato il loro figlio, i tribunali tanto secolari quanto ecclesiastici sembrano avere pietà, in quanto spesso era colpa della fame o di altri fattori di causa maggiore. Ma quando la legge decretava colpevole la donna di infanticidio, la pena era estrema: annegamento o rogo.A Norimberga nel 1580 la pena per le infanticidi divenne la decapitazione. I maschi rei di infanticidio venivano impiccati. I bambini rimanevano in casa fino a sette anni, e se possibile affidati ad un maestro e ai precettori, altrimenti venivano istruiti nel lavoro del padre se artigiano o condotti nei campi ad apprendere come lavorare la terra, nel caso di figli di contadini.Le figlie rimanevano a casa, accudite dalle donne mature, fino all'età delle nozze. Molti bambini abbandonati, figli soprattutto di prostitute o di amori extra-coniugali, venivano lasciati alle porte degli orfanotrofi, i "Monti di Pietà" sorti un po' ovunque e ai quali in Occidente dette molto impulso il Papa di Roma Innocenzo III per salvare i bambini raccolti in strada. Questi orfanotrofi erano gestiti da ordini monastici femminili e spesso mantenuti dalla pietà privata di corporazioni,famiglie ricche e singoli di buoni principi.Per trovare la dote a fanciulle indigenti in Italia nacquero sul finire del XII secolo le Casse per le Fanciulle, attive e documentate già a Firenze e Siena nel 1250, nelle quali si portavano oggetti per il matrimonio e piccoli fondi da dare alle ragazze povere per sposarsi. 

Parlando della sessualità, le guide spirituali dell'epoca insistevano sul debito modo e debito tempo della prestazione sessuale nella coppia, ossia negli organi e nei momenti opportuni, senza costrizioni. Alcuni commentari religiosi parlano di come, se il matrimonio era contratto in amore e amicizia, il divorzio e l'adulterio erano pressoché inesistenti. Le donne erano seguite da medici del proprio sesso, che sembra quanto meno strano: questo compito di "ginecologhe" ante litteram era logicamente riservato alle levatrici. Eppure nel 1321 a Napoli la signora Francesca, moglie di Matteo di Romana da Salerno, fu autorizzata a servire il regno in qualità di medico. Nel 1485 re Carlo VIII di Francia ad esempio promulgò una legge che imponeva il ritiro della patente di chirurgo a tutte le donne che avevano solo esperienza pratica, senza dottorato conseguito in Università. Sebbene non eccessivamente diffuse, esistevano anche donne che vivevano di ciò che producevano, ossia che erano commercianti e artigiane. Occorre ricordare anche alcune figure di donna che ressero sorti di governi e regni, come Eleonora d'Arborea per la Sardegna, Giovanna d'Arco per i francesi o Elisabeth I d'Inghilterra.


Fonti: Eugenio Garin, L'uomo del Rinascimento

sabato 1 giugno 2013

Storia e Religione - Il "titulus", ossia la parrocchia dei primi secoli

Con il nome di titula sono definite essenzialmente quelle complesse organizzazioni pastorali e liturgiche dei primi secoli cristiani, assimilabili per certi versi alle parrocchie, anche se il titulus non aveva né uno statuto né un territorio definito. In questi centri la cura dei fedeli era già affidata a dei presbiteri, i quali, benché in possesso di autonomia amministrativa, rimanevano dipendenti da un Episcopo. Una fitta rete gerarchia interna regolamentava la vita del titulus: accoliti, lettori, esorcisti e ostiari erano in sequenza i gradi del cosiddetto "basso clero" che aiutava il presbitero e il diacono nelle azioni liturgiche e comunitarie. Questa gerarchia così ramificata è già evidente nelle lettere di Papa Cornelio a Fabio di Antiochia ( III secolo). Il compito principale dei titula oltre alla celebrazione eucaristica consisteva nella preparazione dei catecumeni al battesimo: le strutture erano dotate di biblioteche per la cura e la promozione dei libri sacri e di centri di studio nei quali i lectores insegnavano ai neofiti. Successivamente alle chiese fu aggiunto il fonte battesimale, verso la fine del IV e nell'inizio del V secolo, quando il battesimo smise di essere prerogativa del Vescovo. La pratica di pellegrinaggi verso i santuari urbani per ricevere dei battesimi presso particolari reliquie, diffusasi nel V secolo, comportò una rapida crescita di battesimali nelle parrocchie di città. Il presbitero dei primi secoli non differiva in nulla rispetto ai suoi successori: i sacerdoti celebravano il sacramento della penitenza, celebravano esequie, matrimoni e funerali, assistevano malati, infermi e moribondi, e ovviamente provvedevano a celebrare l'Eucarestia. Recenti testimonianze archeologiche portano a ritenere che, annessa alla basilica titolare addetta al culto, vi fosse una serie di ambienti deputati alle svariate funzioni della canonica, quali il catechismo, la biblioteca, la mensa et cetera. Dal VI secolo d.C in poi si diffonde ovunque la pratica del cimitero urbano, soprattutto dopo le guerre greco-gotiche e quindi la parrocchia acquisisce adesso un'altra particolarità, quella di gestire il seppellimento dei defunti nel proprio spazio. Fino al VII secolo il presbitero, per il culto domenicale, si avvaleva del fermentum, ossia del pane consacrato in sede episcopale che gli accoliti distribuivano in tutta la diocesi; il prete cosi univa il Corpo consacrato dal Vescovo al proprio Calice e celebrava l'Eucaristia. Una lettera di Innocenzo I Patriarca di Roma ricorda come questa modalità significhi la profonda unità fra l'episcopo e il proprio clero. 



Mi limito a menzionare, a conclusione del mio articolo, i principali titula nella Roma del V secolo dopo Cristo: San Martino a Monti, San Marco ( piazza S. Marco), Santa Maria in Trastevere, San Lorenzo in Lucina, San Lorenzo in Damaso, Sant'Anastasia, San Clemente, Santa Prudenziana, San Matteo, San Marcello, Santi Marcellino e Pietro, San Vitale, San Crisogono, Santi Giovanni e Paolo, Santi Quattro Coronati, Santa Susanna, San Ciriaco, Sant'Eusebio, Santa Cecilia, Santa Sabina, Santa Prassede, Santa Prisca, San Pietro in Vincoli. Molti di questi titula sono ancora adesso delle chiese consacrate e aperte al pubblico. 

lunedì 20 maggio 2013

Storia - La nascita della Pirateria americana


Nel 1625 mentre Francia e Inghilterra attraverso guerre incessanti cercavano di abbattere il colosso ispanico due vascelli, uno inglese e uno francese, gettarono l'ancora dinnanzi all'isoletta di San Cristoforo nelle Antille, decidendo di lasciare la guerra dei rispettivi paesi e coltivare pacificamente il suolo. Stabiliti contatti pacifici con la tribù di caribbi presente sull'isola, i due capitani, Thomas Warner e D'Enanbue, si divisero in modo fraterno quell'isola e fondarono due piccole colonie. Esattamente cinque anni più tardi una flottiglia spagnola devastò le colonie, poiché il reame di Spagna considerava tutte le Antille come sua esclusiva proprietà. Alcuni di quei coloni, scampati all'eccidio, riuscirono a fuggire su un'isoletta chiamata Tortue, situata a settentrione di Santo Domingo, quasi di fronte alla penisola di Samana, fornita di un porto naturale facile a difendersi. Mentre alcuni si dedicavano alla coltivazione del tabacco altri iniziarono ad effettuare i primi atti di pirateria. Molti altri uomini di mare affluirono sia dall'Europa che dalle Antille trasbordati soprattutto da armatori normanni. I coloni spagnoli di Santo Domingo, visti i loro floridi commerci intaccati da quelle prime e temerarie spedizioni, chiamarono l'attenzione della madrepatria e mandarono grosse forse ad assalire la Tortue in un momento in cui la maggior parte delle navi pirata era in missione. Ogni prigioniero fu impiccato o fucilato. I filibustieri, tornati alla Tortue, appreso il massacro, giurarono di vendicarsi sui coloni di S. Domingo e riconquistarono la propria isoletta guidati dal comandante Willis, ma a costo di enormi perdite e fra i filibustieri rimasti nacquero forti dissidi, essendo gli inglesi di numero inferiore ai francesi, e durante l'alterco una seconda flotta spagnola piombò sull'isola. Gli abitanti della Tortue ripararono nei boschi di Santo Domingo.  Questi fuggiaschi furono coloro che fondarono la Bucaneria: i bucanieri erano uniti in una confederazione e sopravvivevano cacciando i buoi selvatici che abbondavano nelle selve delle Antille; solitamente vivevano due a due, per aiutarsi a vicenda, ed erano notevoli tiratori, in quanto raramente abbattevano i buoi selvatici per sprecarli e impararono tosto a non sprecare pallottole. L'azione spagnola non tardò ad arrivare: con immense battute di caccia l'esercito spagnolo sterminò tutti i buoi selvatici costringendo i bucanieri nell'impossibilità di vivere, e fu allora che bucanieri e filibustieri, sotto il nome di Fratelli della Costa, si unirono in una nuova federazione volta a distruggere la Spagna. La Tortue prosperò rapidamente arrivando avventurieri da tutta l'Europa continentale e nordica e più tardi prese uno sviluppo ancor più forte sotto la direzione di Beltrando d'Orgeron, mandato dal regno di Francia come governatore. Sulle navi pirata i bucanieri svolgevano la funzione di moschettieri, bersagliando i vascelli avversari con cura maniacale abbattendo gli equipaggi; i filibustieri irrompevano sulle navi con gli abbordaggi e le catturavano. Fra gli equipaggi delle navi governative circolavano varie superstizioni, la più famosa delle quali era che i corsari fossero demoni. Accumulate le ricchezze dei vascelli catturati i pirati le dividevano: particolari premi andavano al primo che saltava sul ponte avversario; a chi catturava prigionieri di rango; a chi uccideva il capitano, e così via. Chi perdeva il braccio destro riceveva seicento piastre, cinquecento per il sinistro. 

Ai feriti veniva consegnata una piastra al giorno per due mesi. A bordo delle navi pirata c'erano leggi severissime, ben più severe di quelle delle flotte nazionali: vi era il coprifuoco dopo le otto, non si poteva bere dopo le otto di sera, non si poteva giocare d'azzardo nè a carte, erano proibiti i giochi di lotta e gli alterchi. Non si potevano  condurre con sè sulle navi donne, neppure le proprie mogli. I traditori venivano abbandonati su isole deserte e lasciati morire di fame, con una pistola dotata di un solo colpo già caricato.
Divenuti sul finire del secolo XVII padroni di parecchie navi, i corsari e i pirati iniziarono le grandi imprese. Il pirata Montbars fu il primo ad acquisire nome e fama. Si narra che questo nobiluomo della Linguadoca fosse arrivato nelle Americhe per vendicare gli indios e la sua furia contro gli ispanici fu formidabile, tale da soprannominarlo "Lo Sterminatore": fu il primo a saccheggiare Cuba. 
Dietro di lui venne Pierre-Le-Grand, ricordato per aver assaltato un vascello con soli 28 uomini. Lewis Scott, con poche squadre di filibustieri, conquistò S. Francesco di Capeche e la mise a sacco; John Davis con novanta uomini saccheggiò Nicaragua, poi Sant'Agostino di Florida; Pierre Nau, detto L'Olonese, e dopo cento vittorie contro gli spagnoli finisce tragicamente nelle fauci di una tribù di antropofagi del Darien, passato sulla graticola. Grammont, che gli succedette in celebrità. assaltò con forze esigue prima Maracaybo, poi Porto Cavallo, e con soli quaranta uomini subì l'assalto di trecento soldati spagnoli e, unito alle flottiglie di Laurent e di Wan Horn, assaltò Vera Cruz in una spedizione di enorme portata. Successivamente Morgan, messosi alla testa di un gran numero di pirati saccheggiò Port-du-Prince e poi Cuba, poi Portobello alla testa di nove bastimenti, e superato l'istmo, dopo il sacco di Maracaybo, assalta Panama alla testa di una grandiosa spedizione. Altri ne succedettero, di minor fama, fin quando la Tortue, perduta la sua importanza, decadde. Alcuni corsari piantarono una colonia nelle Bermude e per qualche anno si fecero ancora sentire, ma ben presto anche quelle ultime bande si sciolsero e la filibusteria americana finì col morire completamente.










mercoledì 15 maggio 2013

Venezia - Il Ratto delle Marie

Prima di prendere per nome "Festa delle Marie" la già tradizionale festa veneziana della processio scholarum era detta "Festa dei Matrimoni" durante la quale le giovani coppie di sposi si avviavano al palazzo episcopale su barche adorne di drappi e bandiere. Ogni due febbraio, il Giorno della Purificazione, praticamente da sempre queste barche percorrevano i canali fino alla cattedrale di S. Pietro di Castello, sede episcopale. Il Vescovo proprio lì, circondato dal clero, impartiva una speciale benedizione alle coppie di fidanzati e parenti ed amici regalavano ai promessi sposi le arcelle, ossia ceste cariche di doni. Il corteo di sposini era accompagnato da un'orchestra danzante e il tutto si concludeva con un'ultima, unica e solenne benedizione. Un malaugurato 2 febbraio del 948 dei pirati Narentani si appostarono nella laguna con l'intenzione di depredare Venezia e attesero il momento in cui la processione di barche partiva per entrare indisturbati e fare bottino. Arrivati in città i pirati sorpresero la processione e razziarono di tutto ciò che era possibile rubare, comprese le fanciulle vergini. Gli uomini, privi di armi in quanto occasione di festa, subirono l'onta di vedersi portar via le spose. Il Doge Pietro Candiano, terzo del suo nome, organizzò in fretta e furia la riconquista delle donne: sorpresi i pirati narentani nella laguna di Caorle, l'esercito del dogado li trucidò tutti e portò via sane e salve, ma un po' basite, le fanciulle. In memoria di questo evento il porticciolo luogo della battaglia fu nominato << Porto delle Donzelle >> e le giovani spose furono ricondotte in Cattedrale. Da quel lontano giorno ogni anno la città di Venezia ricordò questo evento con una seconda festa: dodici fanciulle di ogni rango splendidamente vestite a spese del Doge andavano a riverire gli alti magistrati e il Doge stesso a Palazzo Ducale partecipando ad un banchetto offerto a loro onore. Il nome della "Festa delle Marie"  deriva dal fatto, probabile, che la maggior parte delle sposine si chiamasse Maria, secondo alcuni storici mentre secondo altri, più prosaicamente, deriva dal fatto che l'evento accadde il giorno della Purificazione di Maria. 

Ancora oggi, come si vede qua sotto, la città ricorda la salvazione delle ragazze. 

giovedì 9 maggio 2013

Venezia - Come arrivò la reliquia di S. Marco Evangelista nella Serenissima



Il Doge Giustiniano Partecipazio, ideatore e promotore del furto delle spoglie di San Marco 
Sebbene oggi possa destare scandalo, nel primo medioevo il pensiero e l'azione di trafugare corpi di santi e condurli altrove era una prassi consolidata per dare lustro e glorificare la propria città e la propria nazione; non di rado le famiglie nobili, vescovi o veri monarchi e imperatori autorizzarono, se non quando richiedevano il medesimo servizio, il furto di reliquie. Famoso altro caso della storia, il rapimento dei resti di San Marcellino per conto dell'Imperatore franco Carlo Magno. L'artefatto è da ricercarsi nel desiderio di Giustiniano I Partecipazio, Doge di Venezia - ancora possedimento bizantino in rapida ascesa con simpatie verso i franchi, in quanto questi promettevano un ducato indipendente ai venetici - di dare lustro alla sua città. Chiamò quindi a compiere la delicata missione i commercianti Buono di Malamocco e Rustico di Torcello. Arrtivati in Egitto non tardarono a presentarsi alla tomba dell'Evangelista Marco, che da sette secoli riposava in un convento ad Alessandria ( San Marco è stato, secondo le fonti egiziane, primo Papa d'Alessandria ed è tuttora un santo veneratissimo dai copti). Un'altra leggenda voleva lo stesso San Marco evangelizzatore della laguna veneta, quindi, sostenne il Doge Giustiniano, era solo per il bene della città che i due avrebbero "traslato" il corpo del santo fino a Venezia. Eppure prepararono il colpo come una vera rapina. Sebbene il corpo fosse sorvegliato da degli ecclesiastici giorno e notte, i due mercanti riuscirono a comprare due diaconi i quali lasciarono di notte aperte le porte e cacciarono le sentinelle; il corpo di San Marco, portato di notte a bordo della nave veneta, fu sostituito con il corpo di San Claudio. Per superare la dogana portuale saracena i due mercanti veneti dimostrano un blasfemo ingegno. Ricoprirono di carne di maiale e di fogliame fitto il corpo del Santo, perché, come narra la cronaca di Renier Michel, i saraceni provavano ribrezzo per la carne di porco e non osavano controllare le stive che la portavano. I due mercanti dunque, superati i controlli con l'arguzia degna dei migliori film, conducono per mare il corpo. La salma santa arriva a Venezia dopo un tranquillo viaggio privo di pericoli e tocca la terra veneta il giorno 31 gennaio 828: il corpo viene ripulito, imbalsamato e profumato e condotto in solenne processione, ricordata dalle cronache di Giovanni Diacono come "pomposissima", fino al Palazzo Ducale e alla adiacente chiesa di San Teodoro, antico santo tutelare della laguna. Le sacre spoglie saranno successivamente deposte là in attesa che una cattedrale degna di San Marco venisse eretta. La città fu chiamata dal Doge a decidere se mantenere come santo protettore Teodoro o accettare definitivamente Marco Evangelista; il popolino si dichiara entusiasta del nuovo santo e la decisione è presa. Tra l'altro la reliquia di San Teodoro arriverà a Venezia solo nel XIII secolo. Giustiniano Partecipazio chiede, come ultimo desiderio prima della morte, che venga eretta una basilica degna di San Marco, e i suoi eredi porteranno a termine il progetto iniziato da lui. La Basilica di San Marco sorgerà accanto al Palazzo del Doge, riunendo alla sua nuova fondamenta il vecchio oratorio e  complesso religioso di San Teodoro. La struttura che siamo soliti identificare con San Marco è stata iniziata nel 1050 e conclusa nel 1071.

Basilica di San Marco oggi

giovedì 2 maggio 2013

Medioevo - Ivan IV detto "il Terribile"


Infanzia e primi anni di regno di Ivan IV 


Ivan IV aveva solamente 3 anni quando suo padre Basilio III morì nel 1533. Il governo fu assunto dalla moglie Elena, la quale agì in modo arbitrario rispetto alla Duma dei Boiari appoggiando si allo zio Mihail Glinskij, ma nel 1538 la regina morì, probabilmente avvelenata. Seguì un periodo di lotte intestine fra i boiari - la nobiltà russa - per il controllo del gran principato di Mosca. Tutte le risultanze indicano che in questo periodo vi fu un periodo di arresti, persecuzioni ed esecuzioni arbitrarie e in questo clima Ivan IV crebbe. I documenti attestano di un ragazzo sensibile, intelligente e precoce, divoratore di libri sopratutto ecclesiastici. Non appena fu grandicello apprese con dolore la sua posizione ambigua, nella quale i nobili gli rendevano omaggio ma nel frattempo tramavano contro di lui, e assunse la consapevolezza del suo ruolo di principe. Secondo una cronaca dell'epoca l'amarezza e la crudeltà che il ragazzino covava trovavano sfogo nelle torture che infliggeva agli animali. Le lotte intestine portarono a ruolo di capo la famiglia Sujuskij, il cui capoclan era Andrej. Improvvisamente all'età di tredici anni Ivan fece imprigionare Andrej Sujuskij dai suoi domestici e poi fatto giustiziare. Il principe prese in mano la situazione con sorprendente abilità vista la sua età tutt'altro che matura: a sedici anni, nel 1547, si fece incoronare attraverso una complessa e maestosa cerimonia da egli stesso ideata e preparata (16 gennaio 1547) e per la prima volta si definì Zar di tutte le Russie. Scelse anche, nello stesso anno, di sposarsi, e fece pervenire a palazzo 5'000 fanciulle di famiglie nobili per selezionarne la sposa, e scelse Anastasija Romanovna - cognome tutt'altro che banale, eh? - una bellissima e dolce fanciulla, stando alle cronache, di cui si innamorò perdutamente. Un amore fortunato e ricambiato, e l'inizio del regno fu caratterizzato da un insolito e illuminato governo. Nello stesso anno Mosca fu devastata da un incendio e Ivan prese quest'evento come una punizione per i suoi peccati, dei quali chiese perdono pubblicamente nella Piazza Rossa. Queste sue crisi di fede si sarebbero in seguito ripresentate come tratto distintivo del suo carattere. La benefica influenza di Anastasija portò luce e gioia nel regno: Ivan si serviva delle consultazioni di un ristretto gruppo di collaboratori efficienti e fedeli fra cui il Metropolita Macario, il protosacerdote Silvestro e Aleksiej Adasev, di umili origini. Nel 1549 lo Zar chiamò a consiglio lo zemskij sobor paragonabile agli Stati Generali degli stati europei medievali. Ivan ottenne l'approvazione di un nuovo codice legislativo e nel 1551 convocò un grande concilio ecclesiastico nel quale furono regolamentate le relazioni fra chiesa e stato. Nel nuovo codice di leggi, il Subiednik del 1550, dette avvio ad una nuova forma di governo delle province nelle quali i consigli del popolo avevano potere di nominare un giudice che controllasse il boiaro e il delegato principesco, in modo da evitare errori e soprusi. Sorprendente per l'epoca. Nel 1556 Ivan IV migliorò l'esercito moscovita con nuove regolamentazioni circa la leva e istituendo il corpo regolare dei moschettieri, gli strelizzi (Стрелец) I miglioramenti alla struttura militare furono quanto mai tempestivi in quanto Mosca avrebbe in seguito combattuto aspre guerre contro i vicini. Ivan IV infatti intraprese campagne militari contro i khanati mongoli che imperversavano con raid e saccheggi nel regno, fino all'offensiva contro il Khanato tartaro di Kazan' nel 1551. Durante l'assedio i tartari della Crimea, sorretti da giannizzeri turchi e da artiglierie ottomane, penetrarono nel territorio russo quasi fin sotto le mura di Mosca, ma Ivan e il suo esercito riuscirono a debellare l'armata mongolo-turca e poi ripresero l'offensiva contro Kazan', spezzandone definitivamente le difese. La presa della città durò 6 settimane, quando poi l'esercito moscovita fece saltare delle porzioni di mura tramite delle mine, e penetrò in città. Occorsero altri cinque anni per piegare definitivamente il khanato. Nel 1554 Ivan assaltò e prese possesso di Astrachan', alla foce del Volga, a comando della quale impose un khan di sua nomina. Le truppe della Crimea invasero il suolo russo nel 1554, nel 1557 e nel 1558 venendo ogni volta cacciate indietro. Dal 1558 al 1563 Mosca fu occupata in una guerra con la Lituania che, paventando un'ulteriore allargamento della Moscovia, attaccò un porto sul confine dando inizio al conflitto. Ivan solo nel primo anno di guerra prese possesso di venti piazzeforti fra cui la città di Dorpat ( Tartu odierna) e inflisse grandi sconfitte all'ordine teutonico, che nel frattempo fu secolarizzato e il suo ultimo gran maestro divenne vassallo del re di Polonia e principe di Curlandia. Nel 1563 le forze russe conquistarono Polok alla Lituania, ponendo fine al conflitto. 


la zarina Anastasija Romanovna, moglie di Ivan IV 

Ivan il mecenate e Ivan il mercante 

Nonostante l'enorme sforzo bellico, Ivan si contraddistinse anche come protettore di artisti e promulgatore delle scienze; già nel 1547 mandò un proprio agente in Germania, il sassone Slitte, per reclutare artisti, poeti, musici e artigiani di alto livello, oltreché centoventi medici, insegnanti e tecnici ma, a causa di un dazio pesante a Lubecca imposto dalla Lega Anseatica, solo pochi di loro riuscirono ad arrivare a Mosca. Nel 1555 Mosca e l'Inghilterra firmarono un vantaggioso accordo commerciale per Londra, unito ad una missione diplomatica russa la quale riuscì a portare a Mosca diversi esperti minerari e medici di buon livello. 
In quegli anni tuttavia Ivan iniziò a rompere i rapporti col suo consiglio diretto e con i suoi collaboratori, rafforzando l'autocratismo e l'assolutismo. I rapporti con l'Inghilterra divennero di primaria importanza: permise ai mercanti inglesi di possedere un proprio tribunale in terra russa sotto giurisdizione propria, e aprì le porte ai commercianti inglesi togliendo ogni dazio doganale. 

Ivan IV diventa "Il terribile"

La situazione politica interna già iniziò ad appesantirsi con dei precedenti quali la pretesa di Ivan di governare senza consultare gli Stati Generali e senza seguire le direttive del consiglio dei boiari e del consiglio ristretto, ma la vera svolta iniziò nel 1560, l'anno della morte dell'amata moglie. Ivan perse la sanità mentale con quello shock e accusò i suoi collaboratori Silvestro e Adasev di averla avvelenata. Benché non ci siano prove circa la loro colpevolezza, gli archeologi di epoca sovietica rinvennero nel corpo di Anastasija tracce di veleno nelle ossa, accreditando l'ipotesi di un omicidio. Ivan ostracizzò i due collaboratori - esiliò il prete in un remoto convento e imprigionò a vita Adasev - e dette avvio immediatamente ad una serie di arresti e uccisioni di nobili e ricchi, scatenando la sua ira contro tutti coloro che lui ritenne colpevoli di connivenza con i regicidi. Molti nobili si rifugiarono in Lituania dando avvio ad una serie di congiure contro il sovrano, tutte fallite. Ivan, preso da uno dei suoi scatti folli, abbandonò Mosca nel 1564 trasferendosi ad Aleksandrov, a 100 chilometri da Mosca. Al Metropolita giunsero due lettere, nella prima Ivan accusava clero e nobiltà di volerlo uccidere e manifestava la sua volontà di abdicare; la seconda lettera, che fu letta al popolino, esprimeva il pensiero di Ivan ai suoi fidati sudditi, ai quali "nulla aveva da rimproverare". Vi fu una vera rivolta popolare in favore del Terribile, il popolo pianse e chiese pubblicamente che Ivan tornasse a governarlo: il ritorno del sovrano nella capitale fu trionfale nel 1565, dopo che una delegazione di boiari impauriti e sconvolti e di popolani festanti fu andata in processione dallo Zar per chiedere del suo ritorno. Ivan tornò ottenendo due clausole per la sua seconda intronizzazione, ossia il potere di creare un nuovo corpo militare di suo diretto comando e fiducia - una polizia politica de facto - chiamata opricnina e la facoltà di punire chiunque a suo esclusivo parere, senza che nessun giudice di nessun livello potesse contestare. i cavalieri dell'opricnina erano nero-vestiti e montavano solo cavalli neri, inizialmente di numero mille, poi alzato a seimila unità. Essi furono il principale strumento di cui Ivan si servì per "purificare il regno dai boiari" come egli stesso affermava. Vi fu un vero terrore fra la classe nobile, invisa ai contadini, i quali applaudivano all'arrivo degli opricniki ( i cavalieri neri). Il Metropolita Filippo osò manifestare dissenso verso questi cavalieri, e lo Zar lo fece imprigionare, e successivamente gli opricniki lo uccisero nella sua stessa cella. Molte città subirono la distruzione da parte di questi cavalieri neri, compresa Novgorod nel 1570. Come se non bastasse, la guerra sul fronte interno si accompagnò a nuove incursioni tartare che, sebbene non riuscirono a prendere il Cremlino, dettero alle fiamme buona parte di Mosca e condussero via ampio bottino e 100'000 prigionieri. Inoltre nel 1569 I Lituani, la Livonia e i Polacchi si coalizzarono contro Mosca. Nel 1578 gli svedesi infissero una dura sconfitta all'esercito russo. Nei trattati del 1582-83 la Russia dovette rinunciare ad ampie porzioni di territorio in favore di polacchi e svedesi. Ivan IV si spense nel 1584, dopo venticinque anni di lotta che avevano collassato in un fallimento lungo la riva del baltico. Interessante sapere che, negli ultimi anni di regno, Ivan ritenne importante aiutare la "conquista della Siberia" a opera del nobile Sturganov. Il successore di Ivan il Terribile fu Teodoro I, figlio della compianta Anastasija. 

in questo dipinto Ivan IV chiede al Metropolita di essere tonsurato monaco. Rappresenta uno dei tanti scatti nevrotici del sovrano. 


Ivan IV nelle fiabe russe

Il principe Ivan è una figura molto popolare che nulla ha di "terribile". Amico del popolo, grande liberatore dai soprusi dei feudatari, è universalmente riconosciuto come il principe buono delle fiabe. In netto contrasto con la versione ufficiale che lo vede un perverso torturatore. In una fiaba addirittura egli si traveste da ladro, e rubando assieme ad un compare, chiede poi di derubare il palazzo del re, e il ladro lo schiaffeggia dicendogli: << mai ruberei a Ivan.>> il principe, saputa la sua fedeltà, lo premia facendolo diventare ministro. Questa è la più famosa delle miriadi di favole sul principe Ivan su bianco cavallo.

venerdì 4 gennaio 2013

Politica - La Monarchia Direttoriale



Espongo in questo articolo la mia concezione di potere, e più in generale di come uno stato dovrebbe organizzarsi in maniera eccellente. La guida del paese dev'essere un Sovrano benedetto da un Vescovo, affinché la discendenza e l'operato siano permeati di energia divina e si abbia un governo legittimo. Il Sovrano terrà sempre a mente la sua Missione e sarà tenuto ad osservare le leggi dell'etica in nome dei Princìpi dei quali si è fatto portatore accettando la corona.

Potere Esecutivo

Il potere esecutivo è nelle mani del sovrano che lo esercita in modo pieno ed esclusivo. Il Sovrano ha diritto di veto sulle decisioni del Direttorio se la legge proposta da quest'ultimo è contro un Decreto Regio o contro la Costituzione. Il Sovrano è Comandante Supremo delle Forze Armate e guida morale del Popolo. Il Sovrano assiste a tutte le sedute plenarie del Senato e del Direttorio e ha ruolo attivo in queste due assemblee.

Potere Legislativo - Il Direttorio 

Il Potere Legislativo è detenuto dal Direttorio, composto dai Direttori – Ministri – eletti ogni 5 anni a suffragio universale diretto dal Popolo. Il Direttore della Guerra dev'essere per forza un Generale proposto in una Lista dal Senato. Il Direttorio è composto da una serie di Direzioni suddivise in Dipartimenti seguiti da Segretari. ( Es. Direttorio degli Interni, Dipartimento delle Infrastrutture). Ogni Direttore è responsabile del proprio Ministero e l'insieme dei Direttori è responsabile dell'operato del Direttorio. Il Direttore di Giustizia è considerato il Primo Ministro. I Direttori devono essere affini per studi o competenze al Dicastero che seguono. L'età minima per divenire Direttore è di 25 anni. 

Potere Giudiziario

La Corte Suprema è composta da otto giudici, quattro a nomina regia e quattro votati dal Senato. Carica quadriennale. I giudici devono appartenere all'Albo degli Avvocati e dei Giudici ed esercitare da almeno dieci anni. 

Ruolo del Senato

Il Senato, nella quale il popolo conduce i suoi rappresentanti attraverso liste politico-ideologiche, ha un ruolo consultivo e il suo incarico principale è quello di raccogliere le proposte popolari e di condurle all'attenzione del Direttorio. Il Senato è diviso in tre ali: ala centrale, ove seggono i rappresentanti del Popolo; ala destra, ove seggono i nobili scelti dalle Liste di Nobiltà; sinistra, ove seggono i rappresentanti delle corporazioni, delle colonie, il misso vescovile e i poteri economici e sociali in vista. Il Senato viene votato dal Popolo a suffragio universale diretto ogni cinque anni.

Indirizzo generale

L'economia dello stato è di tipo corporativista, ma le imprese private hanno il margine di azione previsto in un paese liberista. Lo Stato ha il dovere di attivare fabbriche e impianti di produzione e costruire zone agricole che siano proprietà dello stato sia per dare lavoro che per assicurare una produzione interna dei beni di prima necessità. (Vedi Colonie.) La Banca Nazionale è statale, come almeno una rete radio-televisiva e come le infrastrutture e la sanità. L'Istruzione è sia privata che statale.

Il Sovrano deve essere una fonte di ispirazione nella gente e così la sua famiglia, pertanto si deve mostrare attivo sostenitore delle cause giuste e la sua linea politica rispetta la fedeltà ai principi etici e spirituali propri della sua gente.

Settimana della Giustizia

Il Sovrano una settimana all'anno proclama la settimana-della-giustizia, nella quale non è il tribunale o la Magistratura ad avere in mano il martello della giustizia, ma il Sovrano stesso che giudica di prima mano le accuse e dispensa la condanne e assoluzioni. Durante questo evento anche dei prigionieri che ritengono di aver subìto una pena ingiusta possono chiedere una seduta presso il Tribunale del Re.

I Simboli del Potere Regio

Il sovrano indossa abitualmente un completo elegante sul quale porta la Corona. In alternativa può usare la sua divisa militare. Lo scettro non è obbligatorio, tranne che durante la Settimana della Giustizia. Nelle feste di precetto è obbligatoria la divisa o la fascia porpora da indossare sul completo.

Plebiscito:
Quando un sovrano e il suo Direttorio si ritrovano in una situazione che pregiudicherà gli equilibri nazionali e ritengono doveroso il pensiero del popolo, viene richiesto un plebiscito. Esso è invece obbligatorio per cambiare una legge costituzionale.