domenica 12 ottobre 2014

La Guerra nel Medioevo


La Guerra era una occupazione sociale costante ( ma anche oggi, dopo tutto, non lo è?) nella vita medioevale. Cosa chiamava alle armi la povera gente di un Feudo? Cosa convinceva due signori locali a muoversi guerra? Perchè due reami entravano in conflitto?


Generalmente, si può dire che l'equilibrio dei rapporti di forza è la chiave per comprendere le motivazioni della guerra medioevale. La volontà di potenza dei Signori è il canale sociale attraverso cui veniva filtrata l'esperienza bellica. Inoltre, la mentalità germanica penetrata nei secoli nell'Occidente, formando la nuova cultura che sarà poi "dell'epoca dei castelli", è quella di una aristocrazia guerriera. Nell'anno Mille particolarmente abbiamo la crisi delle vocazioni guerriere, quando i secondogeniti privi del proprio feudo (per via del diritto ereditario, che consegnava il Feudo al primo figlio maschio) iniziano a radunarsi in bande e a creare scompiglio devastando, depredando e violentando ragazze e donne: non si risparmiano dalle ruberie neppure i luoghi di culto. I chierici, cercando di contenere la violenza dei pupilli nobili, creano le tregue di Dio, ossia dei periodi di pace obbligata, previa scomunica, in concomitanza con le Feste maggiori - Natale, Pasqua, Pentecoste - e con i periodi delle principali fiere annuali. Si sviluppano in questo periodo i diritti di lesa maestà contro i superiori feudali e il diritto d'immunità delle strutture ecclesiastiche. Ovviamente, questi diritti non sempre sono rispettati. 
La Storia ci mostra come queste bande di scapestrati armati fossero presenti soprattutto in Francia e in Germania, territori più "liberi" e meno vincolati dai pericoli di guerra reali, come i confini dell'Impero Bizantino o l'Italia Meridionale, o la Spagna. Infatti in Francia si registrano la stragrande maggioranza di guerre feudali per i diritti privati, come possedimenti acquiferi, zone fertili, città mercantili. Questo << diritto di conquista >> era motivato spesso da ragioni ideologiche - la terra apparteneva al mio trisavolo, il Re l'ha concessa a te, e io me la riprendo - o anche più pragmaticamente economiche: ricchezza reale e bramosia di migliorare la propria condizione. Pur tuttavia, i giuristi del tempo si prestavano anche alla squallida creazione di documenti validi ( ma falsi) di rivendicazione, sotto lauti compensi. Attraverso genealogie semi-inventate, essi ricorrevano a molti artifizi giuridici per affidare a qualche avo quel lembo di terra che il pagatore intendeva conquistare. Così si otteneva un diritto di conquista e un valido casus belli

Per arginare il fenomeno della violenza gratuita, la Chiesa di Roma tentò di adornare la mera condizione di uomo d'armi con uno strato culturale più profondo. Già nel IX secolo in Spagna compaiono le prime hermandad, ossia dei gruppi di guerrieri a cavallo, generalmente nobili o ricchi, dediti alla protezione dei deboli e dei pellegrini contro i Mori, a servizio di qualche cattedrale o confraternita religiosa. L'hermandad di Santiago de Composteila evolverà presto nell'omonimo Ordine Cavalleresco. Venivano incoraggiate le bande armate che prestavano giuramenti d'onore, che si impegnavano nel rimanere in un territorio definito, le confraternite militari.
La Chiesa creò l'ideale del Cavaliere, contrapposto al barbaro uomo d'armi: un uomo pio, devoto ai precetti di Dio, che cerca la gloria sì personale, ma che non esita a difendere i poveri, le donne, i fanciulli. Una ascesi dove la spada e la croce potevano convivere, e creare un santo laicato vissuto nella condizione aristocratica.  Si gettavano così le basi, inconsciamente, sia per l'etica cortigiana sia per la ben più profonda spiritualità Templare. Si può dire che quando il nobile Ugo di Payns si presentò al Pontefice coi suoi fratelli d'armi, proponendo un ordine militare specializzato che si univa alla tonaca, il Papa romano vide incarnato quell'ideale che la classe intellettuale cercava di portare nell'aristocrazia guerriera da almeno un secolo. 

Senza volere in questa sede sviluppare particolarmente la Crociata, che nella Storia della Guerra e del Medioevo segna un punto di svolta sociale, ideologico, politico e spirituale, vogliamo adesso occuparci di una guerra più laica, pragmatica e mossa da obiettivi decisamente più terreni.

Generalmente una guerra iniziava con una razzia, segno evidente che una delle due parti aveva intenzione di prendere possesso dell'altra. La razzia si svolgeva con uomini a cavallo, solitamente, per gli eserciti continentali. La razzia aveva come obiettivo indebolire l'apparato logistico del nemico: ripulire i magazzini, distruggere i villaggi, rovinare i campi, rubare bestie e uccidere gli uomini validi, stuprare le donne per danneggiare anche il morale del nemico. I vichinghi e gli arabi, che attaccavano con la pirateria, avevano sviluppato il raid navale: si arriva, si sbarca, si distrugge e si riparte nell'arco di poche ore. 
La maggior parte delle guerre feudali si concludeva con un assedio. Gli attaccanti solitamente preparavano le macchine d'assedio come arieti per sfondare le porte, catapulte per demolire le mura a distanza, o scale d'assalto per salire sulle mura ed entrare senza distruggere le difese. Nel corso del Trecento, gli eserciti si armeranno anche con cannoni e bombarde, che tuttavia saranno armi molto pericolose e spesso appannaggio di bande mercenarie specializzate in tale armamentario. 
I difensori si organizzano: si preparano le scorte di frecce, si preparano l'olio bollente da rovesciare sui nemici e i secchi di sassi da lanciare sugli assalitori. E' una guerra molto espressiva, ma con pochi morti. Le battaglie fra piccoli feudi vedono in campo poche decine di unità per esercito. 
La Battaglia Campale, che si cercava sempre di evitare, contava un gran dispendio d'uomini, armi, cavalli. Generalmente si combatteva tra eserciti a cavallo supportati dalle rispettive fanterie, o viceversa. I cavalieri, armati dalla testa ai piedi con la cotta di maglia, l'usbergo, l'elmo e i gambali, armati d'ascia, di spada corta e di lancia, con grandi scudi, erano l'aristocrazia che fin dall'infanzia si esercitava nell'arte della guerra; la fanteria era composta dai sudditi dei nobili, chiamati alla corvée della guerra. Generalmente erano i nobili stessi che provvedevano ad armare i propri sottoposti: la potenza di un esercito dipendeva spesso dalle risorse fondiarie del suo comandante. Non mancano però i ricchi borghesi ( mercanti, giuristi, vescovi-guerrieri, artigiani di livello) che si armano da soli: chi diventa cavaliere per ricchezza o per merito, e chi pur rimanendo nella fanteria si barda di tutto punto. 
I poveri partecipavano alla guerra in qualità di tiratori ( arcieri i poveri - i balestrieri erano artigiani o uomini con sufficiente denaro da acquistare un'arma costosa come la balestra ) o di serventi: pulizie, cucina, lavori manuali. I cavalieri al contrario avevano i propri scudieri per la cura dell'animale e della loro persona: ragazzi di fiducia, figli di amici o anche i propri stessi figli, troppo giovani per la guerra viva, ma abbastanza grandi per vederla da lontano. 

Le Città Libere, ossia i Comuni, che non sono feudo ma stato repubblicano, hanno un diverso sistema di reclutamento che va per censo: le categorie di militari si differenziano in quanto ognuno provvede a proprio armamento, ma tutti servono la Città combattendo. Sovente, sono le Confraternite o le Arti di appartenenza ad armare i propri appartenenti

L'esercito era accompagnato da sacerdoti e chierici, sia per la sepoltura dei morti, sia per le necessità spirituali - non scordiamoci che era una società profondamente permeata di spiritualità - e soprattutto nelle grandi guerre fra stati o Sovrani, perfino i vescovi - feudatari, quindi soggetti alla corvèe della guerra - seguivano i propri sovrani. In particolare il vescovo-conte, essendo sia suddito che feudatario a sua volta, offriva il proprio servizio al suo re partecipando con le proprie truppe alla campagna reale.

Nel caso di una lunga campagna militare, sappiamo della vita da campo nel Medioevo: erano tutt'altro che rari il concubinato - con donne rapite nelle razzie - e la presenza ai margini degli accampamenti di un piccolo grande mondo formato da mercanti d'armi, prostitute, sciacalli, disertori e bande mercenarie che si offrivano al pagatore migliore. Malattie a trasmissione sessuale e per via aerea erano frequentissime. 

Riferimenti bibliografici:
La Vita Quotidiana nell'Anno Mille, Fabbri Editori
Templari, Barbara Frale
Firenze nel Medioevo
La Grande Storia delle Crociate, Jean Richard
Rivista "Medioevo"


giovedì 2 ottobre 2014

L'agricoltura nell'anno Mille

Le terre attorno al villaggio erano quasi interamente coltivate. Si coltivava il "grano", che nel Medioevo non intendeva essere solo il frumento, ma anche segale, orzo, avena. Pane e farinata erano l'alimento base che mai mancava: i campi erano preziosi e venivano recintati secondo le assegnazioni, protetti con delle palizzate e sorvegliati costantemente. Si coltivava anche la canapa per farne i vestiti, e se il clima locale era benigno, vigneti e uliveti. Una porzione di campi era invece deputata all'ortofrutta.
La terra smette di essere fertile se viene notevolmente prosciugata per le coltivazioni, pertanto ogni due anni la si metteva a maggese, ossia a riposo: non si coltivava niente per un anno circa. Dopo di ciò, la si ripuliva estirpando le erbacce che, lasciate là, contribuivano a riformare l'humus. Altrimenti per fertilizzare la terra si possono bruciare già le erbacce sovracitate, prenderne le ceneri e cospargere con esse il seminabile. Questa tecnica si chiama "debbio". Il terzo metodo di fertilizzazione è di disperdere lo sterco animale sui campi.

I metodi di rotazione del terreno sono biennale e triennale. Il biennale, che consiste nel dare riposo dopo due anni di sfruttamento, era il metodo comune nell'Europa mediterranea, nel Poitou e nel Mezzogiorno di Francia. In Inghilterra, in Europa centrale e nei paesi scandinavi invece veniva eseguita la rotazione triennale, che consiste in un anno di "grano invernale" seminato in settembre ( grano, farro, segale), in un anno di "grano primaverile" ( avena, orzo) che si semina a marzo - al grano primaverile si poteva anche sostituire con i piselli, le fave o la veccia - e infine un anno di riposo. 
Si cercava ovunque di coltivare anche un vigneto: indispensabile il vino per la Messa, e anche come bevanda, era una delle più diffuse.I vigneti sorgevano spesso in collina presso i fiumi sufficientemente grandi da garantire il trasporto delle botti tramite piccole chiatte. Laon, in Francia, nel XII secolo si meritò l'appellativo di "capitale del vino" per la quantità immensa di prodotto che produceva. 

Per arare, generalmente si usava l'aratro, un attrezzo a mano o a ruote, con una lama in ferro, bronzo o anche in legno nei casi più poveri, che creava solchi nel terreno nei quali poi si gettava la semenza. 
L'aratro è generalmente tirato da buoi, molto lenti, o da cavalli se è ricco. Per mietere, ossia raccogliere il frutto del durissimo lavoro, si usa il falcetto. Vi erano pure esemplari dentellati ( cfr. André de Fleury - racconto dell'empio contadino). 

Si cercava di mietere lasciando la stoppa il più possibile alta, perché quei campi, fino alla semina nuova, saranno proprietà comune e quindi qualsiasi abitante del villaggio potrà passarvi e raccogliere ciò che serve per la sua abitazione ( stoppa per i cavalli o per la capanna), e il campo incolto diventa terreno di pascolo per qualsiasi gregge di qualsiasi pastore. Se un contadino aveva seminato piante foraggere ha diritto, allo spuntare dei frutti, alla prima falciatura: quanto ricrescerà su quel campo sarà ancora una volta proprietà comune. 

bibliografia: La Vita nell'Anno Mille, fabbri editori