lunedì 20 maggio 2013

Storia - La nascita della Pirateria americana


Nel 1625 mentre Francia e Inghilterra attraverso guerre incessanti cercavano di abbattere il colosso ispanico due vascelli, uno inglese e uno francese, gettarono l'ancora dinnanzi all'isoletta di San Cristoforo nelle Antille, decidendo di lasciare la guerra dei rispettivi paesi e coltivare pacificamente il suolo. Stabiliti contatti pacifici con la tribù di caribbi presente sull'isola, i due capitani, Thomas Warner e D'Enanbue, si divisero in modo fraterno quell'isola e fondarono due piccole colonie. Esattamente cinque anni più tardi una flottiglia spagnola devastò le colonie, poiché il reame di Spagna considerava tutte le Antille come sua esclusiva proprietà. Alcuni di quei coloni, scampati all'eccidio, riuscirono a fuggire su un'isoletta chiamata Tortue, situata a settentrione di Santo Domingo, quasi di fronte alla penisola di Samana, fornita di un porto naturale facile a difendersi. Mentre alcuni si dedicavano alla coltivazione del tabacco altri iniziarono ad effettuare i primi atti di pirateria. Molti altri uomini di mare affluirono sia dall'Europa che dalle Antille trasbordati soprattutto da armatori normanni. I coloni spagnoli di Santo Domingo, visti i loro floridi commerci intaccati da quelle prime e temerarie spedizioni, chiamarono l'attenzione della madrepatria e mandarono grosse forse ad assalire la Tortue in un momento in cui la maggior parte delle navi pirata era in missione. Ogni prigioniero fu impiccato o fucilato. I filibustieri, tornati alla Tortue, appreso il massacro, giurarono di vendicarsi sui coloni di S. Domingo e riconquistarono la propria isoletta guidati dal comandante Willis, ma a costo di enormi perdite e fra i filibustieri rimasti nacquero forti dissidi, essendo gli inglesi di numero inferiore ai francesi, e durante l'alterco una seconda flotta spagnola piombò sull'isola. Gli abitanti della Tortue ripararono nei boschi di Santo Domingo.  Questi fuggiaschi furono coloro che fondarono la Bucaneria: i bucanieri erano uniti in una confederazione e sopravvivevano cacciando i buoi selvatici che abbondavano nelle selve delle Antille; solitamente vivevano due a due, per aiutarsi a vicenda, ed erano notevoli tiratori, in quanto raramente abbattevano i buoi selvatici per sprecarli e impararono tosto a non sprecare pallottole. L'azione spagnola non tardò ad arrivare: con immense battute di caccia l'esercito spagnolo sterminò tutti i buoi selvatici costringendo i bucanieri nell'impossibilità di vivere, e fu allora che bucanieri e filibustieri, sotto il nome di Fratelli della Costa, si unirono in una nuova federazione volta a distruggere la Spagna. La Tortue prosperò rapidamente arrivando avventurieri da tutta l'Europa continentale e nordica e più tardi prese uno sviluppo ancor più forte sotto la direzione di Beltrando d'Orgeron, mandato dal regno di Francia come governatore. Sulle navi pirata i bucanieri svolgevano la funzione di moschettieri, bersagliando i vascelli avversari con cura maniacale abbattendo gli equipaggi; i filibustieri irrompevano sulle navi con gli abbordaggi e le catturavano. Fra gli equipaggi delle navi governative circolavano varie superstizioni, la più famosa delle quali era che i corsari fossero demoni. Accumulate le ricchezze dei vascelli catturati i pirati le dividevano: particolari premi andavano al primo che saltava sul ponte avversario; a chi catturava prigionieri di rango; a chi uccideva il capitano, e così via. Chi perdeva il braccio destro riceveva seicento piastre, cinquecento per il sinistro. 

Ai feriti veniva consegnata una piastra al giorno per due mesi. A bordo delle navi pirata c'erano leggi severissime, ben più severe di quelle delle flotte nazionali: vi era il coprifuoco dopo le otto, non si poteva bere dopo le otto di sera, non si poteva giocare d'azzardo nè a carte, erano proibiti i giochi di lotta e gli alterchi. Non si potevano  condurre con sè sulle navi donne, neppure le proprie mogli. I traditori venivano abbandonati su isole deserte e lasciati morire di fame, con una pistola dotata di un solo colpo già caricato.
Divenuti sul finire del secolo XVII padroni di parecchie navi, i corsari e i pirati iniziarono le grandi imprese. Il pirata Montbars fu il primo ad acquisire nome e fama. Si narra che questo nobiluomo della Linguadoca fosse arrivato nelle Americhe per vendicare gli indios e la sua furia contro gli ispanici fu formidabile, tale da soprannominarlo "Lo Sterminatore": fu il primo a saccheggiare Cuba. 
Dietro di lui venne Pierre-Le-Grand, ricordato per aver assaltato un vascello con soli 28 uomini. Lewis Scott, con poche squadre di filibustieri, conquistò S. Francesco di Capeche e la mise a sacco; John Davis con novanta uomini saccheggiò Nicaragua, poi Sant'Agostino di Florida; Pierre Nau, detto L'Olonese, e dopo cento vittorie contro gli spagnoli finisce tragicamente nelle fauci di una tribù di antropofagi del Darien, passato sulla graticola. Grammont, che gli succedette in celebrità. assaltò con forze esigue prima Maracaybo, poi Porto Cavallo, e con soli quaranta uomini subì l'assalto di trecento soldati spagnoli e, unito alle flottiglie di Laurent e di Wan Horn, assaltò Vera Cruz in una spedizione di enorme portata. Successivamente Morgan, messosi alla testa di un gran numero di pirati saccheggiò Port-du-Prince e poi Cuba, poi Portobello alla testa di nove bastimenti, e superato l'istmo, dopo il sacco di Maracaybo, assalta Panama alla testa di una grandiosa spedizione. Altri ne succedettero, di minor fama, fin quando la Tortue, perduta la sua importanza, decadde. Alcuni corsari piantarono una colonia nelle Bermude e per qualche anno si fecero ancora sentire, ma ben presto anche quelle ultime bande si sciolsero e la filibusteria americana finì col morire completamente.










mercoledì 15 maggio 2013

Venezia - Il Ratto delle Marie

Prima di prendere per nome "Festa delle Marie" la già tradizionale festa veneziana della processio scholarum era detta "Festa dei Matrimoni" durante la quale le giovani coppie di sposi si avviavano al palazzo episcopale su barche adorne di drappi e bandiere. Ogni due febbraio, il Giorno della Purificazione, praticamente da sempre queste barche percorrevano i canali fino alla cattedrale di S. Pietro di Castello, sede episcopale. Il Vescovo proprio lì, circondato dal clero, impartiva una speciale benedizione alle coppie di fidanzati e parenti ed amici regalavano ai promessi sposi le arcelle, ossia ceste cariche di doni. Il corteo di sposini era accompagnato da un'orchestra danzante e il tutto si concludeva con un'ultima, unica e solenne benedizione. Un malaugurato 2 febbraio del 948 dei pirati Narentani si appostarono nella laguna con l'intenzione di depredare Venezia e attesero il momento in cui la processione di barche partiva per entrare indisturbati e fare bottino. Arrivati in città i pirati sorpresero la processione e razziarono di tutto ciò che era possibile rubare, comprese le fanciulle vergini. Gli uomini, privi di armi in quanto occasione di festa, subirono l'onta di vedersi portar via le spose. Il Doge Pietro Candiano, terzo del suo nome, organizzò in fretta e furia la riconquista delle donne: sorpresi i pirati narentani nella laguna di Caorle, l'esercito del dogado li trucidò tutti e portò via sane e salve, ma un po' basite, le fanciulle. In memoria di questo evento il porticciolo luogo della battaglia fu nominato << Porto delle Donzelle >> e le giovani spose furono ricondotte in Cattedrale. Da quel lontano giorno ogni anno la città di Venezia ricordò questo evento con una seconda festa: dodici fanciulle di ogni rango splendidamente vestite a spese del Doge andavano a riverire gli alti magistrati e il Doge stesso a Palazzo Ducale partecipando ad un banchetto offerto a loro onore. Il nome della "Festa delle Marie"  deriva dal fatto, probabile, che la maggior parte delle sposine si chiamasse Maria, secondo alcuni storici mentre secondo altri, più prosaicamente, deriva dal fatto che l'evento accadde il giorno della Purificazione di Maria. 

Ancora oggi, come si vede qua sotto, la città ricorda la salvazione delle ragazze. 

giovedì 9 maggio 2013

Venezia - Come arrivò la reliquia di S. Marco Evangelista nella Serenissima



Il Doge Giustiniano Partecipazio, ideatore e promotore del furto delle spoglie di San Marco 
Sebbene oggi possa destare scandalo, nel primo medioevo il pensiero e l'azione di trafugare corpi di santi e condurli altrove era una prassi consolidata per dare lustro e glorificare la propria città e la propria nazione; non di rado le famiglie nobili, vescovi o veri monarchi e imperatori autorizzarono, se non quando richiedevano il medesimo servizio, il furto di reliquie. Famoso altro caso della storia, il rapimento dei resti di San Marcellino per conto dell'Imperatore franco Carlo Magno. L'artefatto è da ricercarsi nel desiderio di Giustiniano I Partecipazio, Doge di Venezia - ancora possedimento bizantino in rapida ascesa con simpatie verso i franchi, in quanto questi promettevano un ducato indipendente ai venetici - di dare lustro alla sua città. Chiamò quindi a compiere la delicata missione i commercianti Buono di Malamocco e Rustico di Torcello. Arrtivati in Egitto non tardarono a presentarsi alla tomba dell'Evangelista Marco, che da sette secoli riposava in un convento ad Alessandria ( San Marco è stato, secondo le fonti egiziane, primo Papa d'Alessandria ed è tuttora un santo veneratissimo dai copti). Un'altra leggenda voleva lo stesso San Marco evangelizzatore della laguna veneta, quindi, sostenne il Doge Giustiniano, era solo per il bene della città che i due avrebbero "traslato" il corpo del santo fino a Venezia. Eppure prepararono il colpo come una vera rapina. Sebbene il corpo fosse sorvegliato da degli ecclesiastici giorno e notte, i due mercanti riuscirono a comprare due diaconi i quali lasciarono di notte aperte le porte e cacciarono le sentinelle; il corpo di San Marco, portato di notte a bordo della nave veneta, fu sostituito con il corpo di San Claudio. Per superare la dogana portuale saracena i due mercanti veneti dimostrano un blasfemo ingegno. Ricoprirono di carne di maiale e di fogliame fitto il corpo del Santo, perché, come narra la cronaca di Renier Michel, i saraceni provavano ribrezzo per la carne di porco e non osavano controllare le stive che la portavano. I due mercanti dunque, superati i controlli con l'arguzia degna dei migliori film, conducono per mare il corpo. La salma santa arriva a Venezia dopo un tranquillo viaggio privo di pericoli e tocca la terra veneta il giorno 31 gennaio 828: il corpo viene ripulito, imbalsamato e profumato e condotto in solenne processione, ricordata dalle cronache di Giovanni Diacono come "pomposissima", fino al Palazzo Ducale e alla adiacente chiesa di San Teodoro, antico santo tutelare della laguna. Le sacre spoglie saranno successivamente deposte là in attesa che una cattedrale degna di San Marco venisse eretta. La città fu chiamata dal Doge a decidere se mantenere come santo protettore Teodoro o accettare definitivamente Marco Evangelista; il popolino si dichiara entusiasta del nuovo santo e la decisione è presa. Tra l'altro la reliquia di San Teodoro arriverà a Venezia solo nel XIII secolo. Giustiniano Partecipazio chiede, come ultimo desiderio prima della morte, che venga eretta una basilica degna di San Marco, e i suoi eredi porteranno a termine il progetto iniziato da lui. La Basilica di San Marco sorgerà accanto al Palazzo del Doge, riunendo alla sua nuova fondamenta il vecchio oratorio e  complesso religioso di San Teodoro. La struttura che siamo soliti identificare con San Marco è stata iniziata nel 1050 e conclusa nel 1071.

Basilica di San Marco oggi

giovedì 2 maggio 2013

Medioevo - Ivan IV detto "il Terribile"


Infanzia e primi anni di regno di Ivan IV 


Ivan IV aveva solamente 3 anni quando suo padre Basilio III morì nel 1533. Il governo fu assunto dalla moglie Elena, la quale agì in modo arbitrario rispetto alla Duma dei Boiari appoggiando si allo zio Mihail Glinskij, ma nel 1538 la regina morì, probabilmente avvelenata. Seguì un periodo di lotte intestine fra i boiari - la nobiltà russa - per il controllo del gran principato di Mosca. Tutte le risultanze indicano che in questo periodo vi fu un periodo di arresti, persecuzioni ed esecuzioni arbitrarie e in questo clima Ivan IV crebbe. I documenti attestano di un ragazzo sensibile, intelligente e precoce, divoratore di libri sopratutto ecclesiastici. Non appena fu grandicello apprese con dolore la sua posizione ambigua, nella quale i nobili gli rendevano omaggio ma nel frattempo tramavano contro di lui, e assunse la consapevolezza del suo ruolo di principe. Secondo una cronaca dell'epoca l'amarezza e la crudeltà che il ragazzino covava trovavano sfogo nelle torture che infliggeva agli animali. Le lotte intestine portarono a ruolo di capo la famiglia Sujuskij, il cui capoclan era Andrej. Improvvisamente all'età di tredici anni Ivan fece imprigionare Andrej Sujuskij dai suoi domestici e poi fatto giustiziare. Il principe prese in mano la situazione con sorprendente abilità vista la sua età tutt'altro che matura: a sedici anni, nel 1547, si fece incoronare attraverso una complessa e maestosa cerimonia da egli stesso ideata e preparata (16 gennaio 1547) e per la prima volta si definì Zar di tutte le Russie. Scelse anche, nello stesso anno, di sposarsi, e fece pervenire a palazzo 5'000 fanciulle di famiglie nobili per selezionarne la sposa, e scelse Anastasija Romanovna - cognome tutt'altro che banale, eh? - una bellissima e dolce fanciulla, stando alle cronache, di cui si innamorò perdutamente. Un amore fortunato e ricambiato, e l'inizio del regno fu caratterizzato da un insolito e illuminato governo. Nello stesso anno Mosca fu devastata da un incendio e Ivan prese quest'evento come una punizione per i suoi peccati, dei quali chiese perdono pubblicamente nella Piazza Rossa. Queste sue crisi di fede si sarebbero in seguito ripresentate come tratto distintivo del suo carattere. La benefica influenza di Anastasija portò luce e gioia nel regno: Ivan si serviva delle consultazioni di un ristretto gruppo di collaboratori efficienti e fedeli fra cui il Metropolita Macario, il protosacerdote Silvestro e Aleksiej Adasev, di umili origini. Nel 1549 lo Zar chiamò a consiglio lo zemskij sobor paragonabile agli Stati Generali degli stati europei medievali. Ivan ottenne l'approvazione di un nuovo codice legislativo e nel 1551 convocò un grande concilio ecclesiastico nel quale furono regolamentate le relazioni fra chiesa e stato. Nel nuovo codice di leggi, il Subiednik del 1550, dette avvio ad una nuova forma di governo delle province nelle quali i consigli del popolo avevano potere di nominare un giudice che controllasse il boiaro e il delegato principesco, in modo da evitare errori e soprusi. Sorprendente per l'epoca. Nel 1556 Ivan IV migliorò l'esercito moscovita con nuove regolamentazioni circa la leva e istituendo il corpo regolare dei moschettieri, gli strelizzi (Стрелец) I miglioramenti alla struttura militare furono quanto mai tempestivi in quanto Mosca avrebbe in seguito combattuto aspre guerre contro i vicini. Ivan IV infatti intraprese campagne militari contro i khanati mongoli che imperversavano con raid e saccheggi nel regno, fino all'offensiva contro il Khanato tartaro di Kazan' nel 1551. Durante l'assedio i tartari della Crimea, sorretti da giannizzeri turchi e da artiglierie ottomane, penetrarono nel territorio russo quasi fin sotto le mura di Mosca, ma Ivan e il suo esercito riuscirono a debellare l'armata mongolo-turca e poi ripresero l'offensiva contro Kazan', spezzandone definitivamente le difese. La presa della città durò 6 settimane, quando poi l'esercito moscovita fece saltare delle porzioni di mura tramite delle mine, e penetrò in città. Occorsero altri cinque anni per piegare definitivamente il khanato. Nel 1554 Ivan assaltò e prese possesso di Astrachan', alla foce del Volga, a comando della quale impose un khan di sua nomina. Le truppe della Crimea invasero il suolo russo nel 1554, nel 1557 e nel 1558 venendo ogni volta cacciate indietro. Dal 1558 al 1563 Mosca fu occupata in una guerra con la Lituania che, paventando un'ulteriore allargamento della Moscovia, attaccò un porto sul confine dando inizio al conflitto. Ivan solo nel primo anno di guerra prese possesso di venti piazzeforti fra cui la città di Dorpat ( Tartu odierna) e inflisse grandi sconfitte all'ordine teutonico, che nel frattempo fu secolarizzato e il suo ultimo gran maestro divenne vassallo del re di Polonia e principe di Curlandia. Nel 1563 le forze russe conquistarono Polok alla Lituania, ponendo fine al conflitto. 


la zarina Anastasija Romanovna, moglie di Ivan IV 

Ivan il mecenate e Ivan il mercante 

Nonostante l'enorme sforzo bellico, Ivan si contraddistinse anche come protettore di artisti e promulgatore delle scienze; già nel 1547 mandò un proprio agente in Germania, il sassone Slitte, per reclutare artisti, poeti, musici e artigiani di alto livello, oltreché centoventi medici, insegnanti e tecnici ma, a causa di un dazio pesante a Lubecca imposto dalla Lega Anseatica, solo pochi di loro riuscirono ad arrivare a Mosca. Nel 1555 Mosca e l'Inghilterra firmarono un vantaggioso accordo commerciale per Londra, unito ad una missione diplomatica russa la quale riuscì a portare a Mosca diversi esperti minerari e medici di buon livello. 
In quegli anni tuttavia Ivan iniziò a rompere i rapporti col suo consiglio diretto e con i suoi collaboratori, rafforzando l'autocratismo e l'assolutismo. I rapporti con l'Inghilterra divennero di primaria importanza: permise ai mercanti inglesi di possedere un proprio tribunale in terra russa sotto giurisdizione propria, e aprì le porte ai commercianti inglesi togliendo ogni dazio doganale. 

Ivan IV diventa "Il terribile"

La situazione politica interna già iniziò ad appesantirsi con dei precedenti quali la pretesa di Ivan di governare senza consultare gli Stati Generali e senza seguire le direttive del consiglio dei boiari e del consiglio ristretto, ma la vera svolta iniziò nel 1560, l'anno della morte dell'amata moglie. Ivan perse la sanità mentale con quello shock e accusò i suoi collaboratori Silvestro e Adasev di averla avvelenata. Benché non ci siano prove circa la loro colpevolezza, gli archeologi di epoca sovietica rinvennero nel corpo di Anastasija tracce di veleno nelle ossa, accreditando l'ipotesi di un omicidio. Ivan ostracizzò i due collaboratori - esiliò il prete in un remoto convento e imprigionò a vita Adasev - e dette avvio immediatamente ad una serie di arresti e uccisioni di nobili e ricchi, scatenando la sua ira contro tutti coloro che lui ritenne colpevoli di connivenza con i regicidi. Molti nobili si rifugiarono in Lituania dando avvio ad una serie di congiure contro il sovrano, tutte fallite. Ivan, preso da uno dei suoi scatti folli, abbandonò Mosca nel 1564 trasferendosi ad Aleksandrov, a 100 chilometri da Mosca. Al Metropolita giunsero due lettere, nella prima Ivan accusava clero e nobiltà di volerlo uccidere e manifestava la sua volontà di abdicare; la seconda lettera, che fu letta al popolino, esprimeva il pensiero di Ivan ai suoi fidati sudditi, ai quali "nulla aveva da rimproverare". Vi fu una vera rivolta popolare in favore del Terribile, il popolo pianse e chiese pubblicamente che Ivan tornasse a governarlo: il ritorno del sovrano nella capitale fu trionfale nel 1565, dopo che una delegazione di boiari impauriti e sconvolti e di popolani festanti fu andata in processione dallo Zar per chiedere del suo ritorno. Ivan tornò ottenendo due clausole per la sua seconda intronizzazione, ossia il potere di creare un nuovo corpo militare di suo diretto comando e fiducia - una polizia politica de facto - chiamata opricnina e la facoltà di punire chiunque a suo esclusivo parere, senza che nessun giudice di nessun livello potesse contestare. i cavalieri dell'opricnina erano nero-vestiti e montavano solo cavalli neri, inizialmente di numero mille, poi alzato a seimila unità. Essi furono il principale strumento di cui Ivan si servì per "purificare il regno dai boiari" come egli stesso affermava. Vi fu un vero terrore fra la classe nobile, invisa ai contadini, i quali applaudivano all'arrivo degli opricniki ( i cavalieri neri). Il Metropolita Filippo osò manifestare dissenso verso questi cavalieri, e lo Zar lo fece imprigionare, e successivamente gli opricniki lo uccisero nella sua stessa cella. Molte città subirono la distruzione da parte di questi cavalieri neri, compresa Novgorod nel 1570. Come se non bastasse, la guerra sul fronte interno si accompagnò a nuove incursioni tartare che, sebbene non riuscirono a prendere il Cremlino, dettero alle fiamme buona parte di Mosca e condussero via ampio bottino e 100'000 prigionieri. Inoltre nel 1569 I Lituani, la Livonia e i Polacchi si coalizzarono contro Mosca. Nel 1578 gli svedesi infissero una dura sconfitta all'esercito russo. Nei trattati del 1582-83 la Russia dovette rinunciare ad ampie porzioni di territorio in favore di polacchi e svedesi. Ivan IV si spense nel 1584, dopo venticinque anni di lotta che avevano collassato in un fallimento lungo la riva del baltico. Interessante sapere che, negli ultimi anni di regno, Ivan ritenne importante aiutare la "conquista della Siberia" a opera del nobile Sturganov. Il successore di Ivan il Terribile fu Teodoro I, figlio della compianta Anastasija. 

in questo dipinto Ivan IV chiede al Metropolita di essere tonsurato monaco. Rappresenta uno dei tanti scatti nevrotici del sovrano. 


Ivan IV nelle fiabe russe

Il principe Ivan è una figura molto popolare che nulla ha di "terribile". Amico del popolo, grande liberatore dai soprusi dei feudatari, è universalmente riconosciuto come il principe buono delle fiabe. In netto contrasto con la versione ufficiale che lo vede un perverso torturatore. In una fiaba addirittura egli si traveste da ladro, e rubando assieme ad un compare, chiede poi di derubare il palazzo del re, e il ladro lo schiaffeggia dicendogli: << mai ruberei a Ivan.>> il principe, saputa la sua fedeltà, lo premia facendolo diventare ministro. Questa è la più famosa delle miriadi di favole sul principe Ivan su bianco cavallo.