Confucio nacque, visse e operò in un
periodo di profonda crisi sociale, il periodo noto come “Era delle Primavere e
degli Autunni” assimilabile per certi versi a quello che l’Impero Romano doveva
subire con l’Anarchia militare. Il Maestro per eccellenza del pensiero cinese
nacque il 28 settembre 551 a.C. e morì nel 479 a.C. ed è quindi un quasi
contemporaneo di Socrate. Come il maestro greco, anch’egli non ha mai lasciato
nulla di scritto, e sono stati i suoi discepoli a trasmetterci i suoi Detti.
Confucio è noto a noi occidentali soprattutto per essere un maestro anziano e
magari con problemi a camminare, dalla folta barba bianca, ad esporre ad un
attento uditorio le sue prediche moraleggianti. In realtà basta una veloce lettura
dei suoi Detti per capire come quest’uomo fosse energico, dotato di ironia e di
forza fisica: in una sua celebre frase egli sembra quasi voglia andare a
colonizzare i barbari, ma viene fermato dai discepoli; in un’altra occasione
egli vuole prendere il mare con una zattera e raggiungere il Giappone. Confucio
è consapevole che le sue dottrine etico-politiche necessitano di una subitanea
applicazione pratica e non si dispera: girovaga per la Cina col suo codazzo di
discepoli di ogni risma sociale alla ricerca di un principato che lo accolga.
La tradizione vuole che, arrivato nel piccolo e minacciato Ducato di Lu, le sue
riforme in tre mesi diano dei frutti. I vicini, preoccupati che il principato
divenisse troppo potente, spedirono al Duca 80 stupende danzatrici e 20 cavalli
di razza. Il duca rifiutò le udienze per tre giorni di seguito e si
disinteressò alle sorti della Corte. Confucio, depresso e amareggiato,
abbandonò la reggia. Si rimise dunque in viaggio ma nessuno pareva volesse
ascoltarlo: soprattutto i funzionari delle corti, sapendo di cosa Confucio e la
sua troupe fossero in grado di fare, per paura di perdere il posto,
dissuadevano i propri sovrani dal prenderli in carica. Confucio morì, con
accanto i suoi discepoli, deluso e intristito, affermando di aver fallito la
sua Missione Celeste. La consapevolezza di essere in qualche modo “mandato” dal
Cielo lo assillava continuamente: l’idea che alcuni uomini avessero un Destino
da compiere appare chiara nei Detti che ci hanno tramandato. I suoi discepoli raccolsero
le sue affermazioni ed estratti della vita del loro Maestro e andarono formando
altre comunità, fino a costruire scuole. I precetti confuciani si basano tutti
su due concetti chiave dell’etica: Ren
e Junzi e sulla figura dello Shi. Oltre a questi due concetti,
Confucio dette avvio a quella che lui chiamava “rettificazione dei nomi” ossia
utilizzare un lemma particolare con una nuova accezione per adattarla all’etica
confuciana. Lo stesso termine Junzi, come sarà spiegato in seguito, è stato
investito in pieno da questa rettificazione. Il Maestro è stata una figura
talmente importante per la cultura cinese che i suoi concetti sono divenuti col
tempo l’anima stessa dell’intellettualità orientale.
Base della filosofia Confuciana
Come precedentemente anticipato, per comprendere minimamente l’etica confuciana, occorre conoscere i tre concetti di Ren, Shi e di Junzi.
Ren: “Bontà”, “Umanità” ( nell’accezione morale del termine - rettificato)
Confucio insisteva molto affinché l’essere umano ottenesse l’Umanità, la suprema virtù. Attraverso la pietà filiale, l’onore, il rispetto dello stato e dell’etica, delle sue convenzioni, dei riti, della divinità, attraverso la frugalità e il senso del dovere l’uomo poteva sperare di elevarsi. Non si capisce se Confucio si considerasse detentore o meno di questa Virtù suprema. Nel cinese arcaico questa parola indicava solo il comportamento virile tipico degli eroi, poi ha subito una trasformazione morale conclusasi con la rettificazione confuciana.
Junzi: “Signore feudale”, “Gentiluomo” ( rettificato)
Prima dell’avvento del pensiero confuciano, il Junzi era il padrone, il sovrano o uno dei suoi feudatari. Era una nobiltà di tipo ematico, una nobiltà di sangue. Confucio introduce il concetto politico di meritocrazia: gentiluomini non solo ci si nasce, ma ci si può divenire attraverso l’Educazione. L’Educazione confuciana rientra in quello che viene chiamato Umanesimo Confuciano, ossia uno studio della letteratura, dell’arte visiva, musica, calligrafia, economia, tiro con l’arco, arte del carro, equitazione, riti e ovviamente, oratoria e politica. Il Junzi era dunque, in età imperiale soprattutto, assimilabile allo Shi ( “letterato”).
Shi: “cavaliere” ( cinese antico) “intellettuale” ( imperiale) “letterato”.
Nome indicante una classe sociale intermedia, mobile e dinamica, indicava inizialmente il guerriero a cavallo a seguito di un potente Signore feudale. Confucio regalò a questa classe un’ideologia che in poco tempo permise agli Shi di divenire la classe dirigente dell’impero unificato, e formarono la burocrazia imperiale.
Eredità del Pensiero Confuciano nella Cina Imperiale
Come si evince dalla specificità dei lemmi, il letterato imperiale era una figura apparentemente di spicco, dotata di enormi capacità fisiche e intellettuali. La burocrazia imperiale fortemente meritocratica non era una carica irraggiungibile: a qualsiasi persona di qualsiasi classe sociale era possibile ottenere il posto se quest’ultimo superava una serie di esami di cultura generale. Questa attitudine comportò nei secoli un grande afflusso di talenti più o meno meritevoli nelle corti cittadine, tramutandosi tuttavia in una terribile malattia, quella degli “intellettuali senza lavoro”, dramma soprattutto delle ultime dinastie. I Mandarini erano quella classe dirigente che, a vari livelli, si occupava dell’amministrazione e degli uffici in ogni angolo dell’Impero. Si presupponeva dunque che un qualsiasi intellettuale fosse contemporaneamente oratore, comandante di guarnigione, agronomo, economista, giudice, sacerdote e nel tempo libero perfino letterato, magari poeta o musico. Intellettuale non erano dunque persone particolari o emotive ed emozionanti, ma coloro che rispondevano a dei requisiti di natura scolastica. La fossilizzazione del concetto di letterato e delle sue qualità è stato, a mio avviso, uno dei cardini della calcificazione della società cinese classica e non sorprende che i repubblicani e i comunisti della Rivoluzione fossero ferocemente anti-confuciani, come Lu Xun, morto nel 1936.
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