lunedì 30 settembre 2013

Venezia - Agostino Barbarigo, il Doge del Rinascimento



Il Quattrocento vide un susseguirsi impressionante di Dogi, il più spettacolare dei quali fu Agostino Barbarigo, fratello del precedente doge, Marco. L'elezione di Agostino avvenne il 30 agosto 1486, dopo che il suo avversario si ritirò appoggiandolo. Agostino era il candidato ideale per la reggenza: con un patrimonio di 70'000 ducati aurei e una  brillante carriera di generale alle spalle, in un'epoca dove i capitani e i banchieri iniziavano a imporsi, era semplicemente perfetto. Le vecchie famiglie patrizie tuttavia non gradirono l'elezione di Agostino, quasi che fosse per merito del defunto doge che il fratello avesse ottenuto la reggenza. Agostino fu un dittatore, un vero e proprio despota: limitò quanto poté l'attività del Maggior Consiglio e governò in totale libertà, estromettendo le famiglie patrizie. Tuttavia nessuno si permise di fermarlo, e visse da sovrano. Addobbò magnificamente il suo palazzo tempestandolo di incisioni del suo stemma, e abbellì la città con sfarzo principesco. Pretese il baciamano a chiunque si presentasse, e questo doveva ricordare le abitudini bizantine del millennio che si erano lasciati alle spalle; Uno dei suoi meriti per la Serenissima fu l'acquisizione dell'isola di Cipro, donata dalla regina alla Repubblica.  Perse invece le fortezze nel Peloponneso in una guerra coi turchi nel 1499-1500. Eppure, nonostante la città di Venezia risulti abbellita con nuove chiese ( ad esempio Santa Maria dei Miracoli) o con nuovi elementi tecnologici ( come l'orologio in piazza S. Marco), la società veneziana è sempre più corrotta. Le prostitute di alto bordo, particolarmente, diventano un elemento politico: il 25 marzo 1498 il consigliere del Senato Antonio di Landi verrà appeso alla forca dopo la denuncia esposta da una nota cortigiana - Laura Toilo - alla quale confidava, dopo gli amplessi, importanti segreti del Senato. Il 20 settembre 1501 Agostino muore, odiato dai ricchi, ma applaudito da patrizi e da plebei. La recita si è conclusa. Escono fuori tutti i suoi errori, tra cui moltissimi errori economici e perdite enormi. Ciò nonostante egli non subirà mai la damnatio memoriae - che a Venezia era usuale sui dogi "scomodi" per la memoria popolare -  e il suo ritratto rimarrà nella sala del Maggior Consiglio. Gli succedette Leonardo Loredan.

fonti: "Dogi, Storia e Segreti" di Claudio Rendina






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