venerdì 15 maggio 2015

La Medicina nel Medioevo



Anche se si può pensare tutt'altro, la Medicina medievale fu un'attività empirica nella quale i medici tentavano continuamente nuove vie. Accanto alla sapienza classica di derivazione greca, come Ippocrate, vi erano tentativi continui di trovare nuovi rimedi.

A proposito della ricerca, il medico ebreo Maimonide scrive nel XII secolo:


"L'Arte della Medicina si basa sia sull'esperienza che sulla ragione, ma vediamo come spesso le nozioni ottenute dall'esperienza siano più utili che quelle (ottenute) per mezzo della ragione." 



Il medico e fisico arabo Ibn Al Nafis, nel XIII secolo, scrive nel suo trattato sugli organi che l'esperienza medica sul campo gli è stata più utile che non l'aver letto le opinioni altrui, in merito al funzionamento degli organi. Per lo studio del corpo si utilizzavano i corpi senza vita di "soggetti sgraditi" ( artisti, prostitute, eretici ) che non venivano sepolti in terra consacrata. 
Uno dei più grandi medici medievali fu l'arabo Mohammad Ibn Zakayra Al-Rahzi, nato nel 865 e fino all'età di trent'anni fu banchiere e musico, prima di passare alla medicina. Dopo aver completato gli studi a Baghdad si diede alla sperimentazione animale con il mercurio e si concentrò sulle scimmie, valutando la quantità di mercurio "sicura" per poi testarla sugli umani a scopi curativi.
Il medico Ibn Zuhr, che provò con successo la tracheotomia, testò a lungo le tecniche chirurgiche sulle capre prima di lavorare su persone, 



Una delle cure più diffuse era l'utilizzo di droghe o composti, e prima di essere "immessi sul mercato", tali prodotti venivano più volte testati con queste regole:
La medicina testata dev'essere pura.
Il paziente dev'essere malato del male che si intende curare.
La medicina dev'essere somministrata da sola ( si intende senza altri composti insieme )
La medicina dev'essere prodotta con oggetti contrari agli agenti patogeni
Prima di essere concessa, dev'essere stata provata molte volte.
La medicina dev'essere testata su un corpo maschile.



A Parigi nacque già nel IX secolo una scuola medica, che poi evolverà nel circuito della Sorbona nella quale insegnavano insigni monaci esperti di medicina classica; citiamo i grandi studiosi e monaci Gerberto e Richer, nella Francia del XI secolo, come dottori e insegnanti rimasti noti il primo per le sperimentazioni, e il secondo per la padronanza della medicina ippocratica,  Ci è noto che vi fossero anche donne ammesse al ruolo di dottoresse, con specifici regolamenti e istituti: un caso eclatante fu donna Francesca, moglie di Matteo di Romana da Salerno, la quale nel 1321 servì la corte di Napoli in qualità di medico. 


tavola delle urine


E' superfluo dire che la profilassi fosse inesistente, o quantomeno limitata all'igiene personale; nell'Impero Bizantino  nei paesi arabi era abbastanza diffusa ancora la pratica di frequentare le terme. 
Quando si accusava un malanno, il medico esaminava le urine e provava il sangue dell'ammalato attraverso i salassi tramite le sanguisughe, per poi consigliare un impacco, un composto o una pozione d'erbe in base ai trattati medici più rinomati.



Scuole e corporazioni di Medici faranno parte delle Arti comunali delle città europee a partire dal XIII-XIV secolo, con un grande sviluppo di medicamenti e trattati; la traduzione e la diffusione di opere arabe porterà piccoli grandi benefici. La Chiesa, contrariamente a quanto si pensa, favoriva la diffusione della medicina tradizionale preferendola di gran lunga alle pratiche magiche e semi-pagane dei guaritori che imperversavano in tutta Europa, soprattutto in Francia e in Germania. 


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FONTI

Articoli dal sito inglese Medievalists - consultabili qui e qui.

Per la questione femminile, il libro "La donna nel Rinascimento" di Eugenio Garin.
La vita nell'anno Mille, Fabbri Editori

venerdì 2 gennaio 2015

Le abitazioni cittadine nel Medioevo

Verso il X secolo le città, soprattutto italiane, riprendono a crescere. Anche se normalmente viene passato l'Alto Medioevo come un periodo di decrescita e di stallo, invero le città, anche se ridimensionate rispetto all'epoca classica, non perdono certo il loro valore di centri culturali ed economici: soprattutto a livello di studio e di ruoli ecclesiastici. Le città sono le sedi episcopali, i luoghi ove sorgono le accademie, soprattutto nel Sacro Romano Impero ( Parigi, Aquisgrana, per citarne due) e dove si svolgono le fiere annuali e mensili di rilievo. La città è quindi un luogo composito, che presto sviluppa nell'ambito del diritto medievale delle prerogative peculiari come le Arti e la loro regolamentazione, gli istituti di carità ( Monti di Pietà o Casse delle Fanciulle ) e in generale tutto il tessuto sociale urbano, che va dai lavoranti, ai braccianti, agli artigiani e agli imprenditori, fino all'alta borghesia e ai nobili urbanizzati. Quest'ultimo fenomeno avviene sempre più dal Trecento in poi. 
La casa di città, dunque, si sviluppa in un ambiente dinamico ma angusto, ove la necessità di spazi divisi per attività si affianca alla piccolezza degli spazi edificabili, poiché si preferisce sempre non allargare la cinta muraria: un'operazione di questo tipo porterebbe via denaro, tempo, risorse ed esporrebbe la città indifesa agli attacchi dei vicini turbolenti. Il modello del piccolo castello, il donjon ( termine francese che designa un casale turrito) prende presto piede nelle città, le cui abitazioni evolvono quindi in case-torre. Gli ambienti sono distribuiti su più piani: al piano terra la bottega, propria o in affitto di altri, e ai piani superiori gli appartamenti, sempre propri o in affitto; le varie zone della casa sono divise da tendaggi o separé di legno. Ovviamente, l'ampia presenza di mobili e oggetti in legno, il pavimento e il soffitto, lo spazio scarso e la necessità di riscaldarsi con bracieri e camini comportavano ampi rischi di incendio, vera piaga delle città medievali. A fronte di questi problemi, erano molto frequenti le uscite di sicurezza composte da scale affiancate alle finestre. Dietro le abitazioni spesso sorgevano gli orti o dei piccoli giardini, che nell'immaginario medioevale erano considerati locus amenus, dove le donzelle amavano passeggiare e dove i cavalieri si dichiaravano ( secondo una certa etica cavalleresca). Sempre nell'orto sostava il gabinetto. I più avanzati erano sedili interposti fra due porzioni di muro, le cui tubature davano poi nel pozzonero condiviso dal quartiere; i meno avanzati venivano poi svuotati e rimescolati nell'orto per contribuire a formare il concime tanto prezioso. I grandi palazzi sono una rarità nell'Alto Medioevo, perlopiù destinati alle istituzioni come i Municipi, le sedi delle Corporazioni, le case dei Mangravi ( rappresentanti dell'Impero) o gli edifici curiali; nel basso Medioevo si iniziano sempre più a edificare grandi ville per i nobili urbanizzati, i quali riportano gli sfarzi dei castelli direttamente entro le mura cittadine. 
L'illuminazione dei locali era un fattore di primo piano poiché d'inverno le imposte di legno venivano chiuse per il freddo, e le stanze risultavano al buio ben prima del crepuscolo; si ovviava al problema attraverso candele di sego o di cera, ma anche l'illuminazione a olio era ovviamente conosciuta. Le torce erano prodotte con resina. Secondo l'etica popolare, la brava donna era colei che faceva trovare al marito una casa sempre ben illuminata, segno che seguiva il camino e le candele, e non permetteva che l'abitazione calasse nell'oscurità. I poeti erotici del Medioevo ricordano con soavità quelle donne che portano il marito a letto "alla luce di molte candele". Le prostitute o gli amanti, infatti, vivono i loro rapporti in case poco illuminate.
Il vestiario aveva una moda diversa di regione in regione, che cambiava ovviamente in base al clima, alla ricchezza del popolo e delle possibilità offerte dal commercio con l'Oriente o col Nord-Europa: pellicce, seta e lino erano tessuti molto ricercati, anche e poi verso il Basso Medioevo saranno meno rari. 
La vita a tavola era piuttosto goliardica e familiare: nelle case popolari la tavola veniva aperta - si trattava di assi disposti su cavalletti - e da un unico grande piatto tutti i commensali attingevano contemporaneamente. Rare le forchette, e anche per i bicchieri e i boccali, era usanza che i coniugi bevessero in due dalla stessa coppa. Nelle osterie e nelle taverne invece, i tavoli erano mobili interi e usava che ognuno avesse stoviglie proprie. I ricchi seguivano paradossalmente la via della taverna, con complesse disposizioni di piatti e posate, per mostrare la propria opulenza ai commensali in visita. 
Si desume come i rapporti umani e sociali fossero molto diretti e coloriti, ben più saldi di quelli cui siamo abituati oggidì. 

Bibliografia:
Vita Quotidiana nel Medioevo - Ludovico Gatto
La Vita nell'Anno Mille - Fabbri Editore
Firenze nel Rinascimento - Vannucci

in foto: veduta del borgo medievale di S. Gimignano in Toscana, il quale conserva ancora l'aspetto turrito di una città altomedievale

domenica 12 ottobre 2014

La Guerra nel Medioevo


La Guerra era una occupazione sociale costante ( ma anche oggi, dopo tutto, non lo è?) nella vita medioevale. Cosa chiamava alle armi la povera gente di un Feudo? Cosa convinceva due signori locali a muoversi guerra? Perchè due reami entravano in conflitto?


Generalmente, si può dire che l'equilibrio dei rapporti di forza è la chiave per comprendere le motivazioni della guerra medioevale. La volontà di potenza dei Signori è il canale sociale attraverso cui veniva filtrata l'esperienza bellica. Inoltre, la mentalità germanica penetrata nei secoli nell'Occidente, formando la nuova cultura che sarà poi "dell'epoca dei castelli", è quella di una aristocrazia guerriera. Nell'anno Mille particolarmente abbiamo la crisi delle vocazioni guerriere, quando i secondogeniti privi del proprio feudo (per via del diritto ereditario, che consegnava il Feudo al primo figlio maschio) iniziano a radunarsi in bande e a creare scompiglio devastando, depredando e violentando ragazze e donne: non si risparmiano dalle ruberie neppure i luoghi di culto. I chierici, cercando di contenere la violenza dei pupilli nobili, creano le tregue di Dio, ossia dei periodi di pace obbligata, previa scomunica, in concomitanza con le Feste maggiori - Natale, Pasqua, Pentecoste - e con i periodi delle principali fiere annuali. Si sviluppano in questo periodo i diritti di lesa maestà contro i superiori feudali e il diritto d'immunità delle strutture ecclesiastiche. Ovviamente, questi diritti non sempre sono rispettati. 
La Storia ci mostra come queste bande di scapestrati armati fossero presenti soprattutto in Francia e in Germania, territori più "liberi" e meno vincolati dai pericoli di guerra reali, come i confini dell'Impero Bizantino o l'Italia Meridionale, o la Spagna. Infatti in Francia si registrano la stragrande maggioranza di guerre feudali per i diritti privati, come possedimenti acquiferi, zone fertili, città mercantili. Questo << diritto di conquista >> era motivato spesso da ragioni ideologiche - la terra apparteneva al mio trisavolo, il Re l'ha concessa a te, e io me la riprendo - o anche più pragmaticamente economiche: ricchezza reale e bramosia di migliorare la propria condizione. Pur tuttavia, i giuristi del tempo si prestavano anche alla squallida creazione di documenti validi ( ma falsi) di rivendicazione, sotto lauti compensi. Attraverso genealogie semi-inventate, essi ricorrevano a molti artifizi giuridici per affidare a qualche avo quel lembo di terra che il pagatore intendeva conquistare. Così si otteneva un diritto di conquista e un valido casus belli

Per arginare il fenomeno della violenza gratuita, la Chiesa di Roma tentò di adornare la mera condizione di uomo d'armi con uno strato culturale più profondo. Già nel IX secolo in Spagna compaiono le prime hermandad, ossia dei gruppi di guerrieri a cavallo, generalmente nobili o ricchi, dediti alla protezione dei deboli e dei pellegrini contro i Mori, a servizio di qualche cattedrale o confraternita religiosa. L'hermandad di Santiago de Composteila evolverà presto nell'omonimo Ordine Cavalleresco. Venivano incoraggiate le bande armate che prestavano giuramenti d'onore, che si impegnavano nel rimanere in un territorio definito, le confraternite militari.
La Chiesa creò l'ideale del Cavaliere, contrapposto al barbaro uomo d'armi: un uomo pio, devoto ai precetti di Dio, che cerca la gloria sì personale, ma che non esita a difendere i poveri, le donne, i fanciulli. Una ascesi dove la spada e la croce potevano convivere, e creare un santo laicato vissuto nella condizione aristocratica.  Si gettavano così le basi, inconsciamente, sia per l'etica cortigiana sia per la ben più profonda spiritualità Templare. Si può dire che quando il nobile Ugo di Payns si presentò al Pontefice coi suoi fratelli d'armi, proponendo un ordine militare specializzato che si univa alla tonaca, il Papa romano vide incarnato quell'ideale che la classe intellettuale cercava di portare nell'aristocrazia guerriera da almeno un secolo. 

Senza volere in questa sede sviluppare particolarmente la Crociata, che nella Storia della Guerra e del Medioevo segna un punto di svolta sociale, ideologico, politico e spirituale, vogliamo adesso occuparci di una guerra più laica, pragmatica e mossa da obiettivi decisamente più terreni.

Generalmente una guerra iniziava con una razzia, segno evidente che una delle due parti aveva intenzione di prendere possesso dell'altra. La razzia si svolgeva con uomini a cavallo, solitamente, per gli eserciti continentali. La razzia aveva come obiettivo indebolire l'apparato logistico del nemico: ripulire i magazzini, distruggere i villaggi, rovinare i campi, rubare bestie e uccidere gli uomini validi, stuprare le donne per danneggiare anche il morale del nemico. I vichinghi e gli arabi, che attaccavano con la pirateria, avevano sviluppato il raid navale: si arriva, si sbarca, si distrugge e si riparte nell'arco di poche ore. 
La maggior parte delle guerre feudali si concludeva con un assedio. Gli attaccanti solitamente preparavano le macchine d'assedio come arieti per sfondare le porte, catapulte per demolire le mura a distanza, o scale d'assalto per salire sulle mura ed entrare senza distruggere le difese. Nel corso del Trecento, gli eserciti si armeranno anche con cannoni e bombarde, che tuttavia saranno armi molto pericolose e spesso appannaggio di bande mercenarie specializzate in tale armamentario. 
I difensori si organizzano: si preparano le scorte di frecce, si preparano l'olio bollente da rovesciare sui nemici e i secchi di sassi da lanciare sugli assalitori. E' una guerra molto espressiva, ma con pochi morti. Le battaglie fra piccoli feudi vedono in campo poche decine di unità per esercito. 
La Battaglia Campale, che si cercava sempre di evitare, contava un gran dispendio d'uomini, armi, cavalli. Generalmente si combatteva tra eserciti a cavallo supportati dalle rispettive fanterie, o viceversa. I cavalieri, armati dalla testa ai piedi con la cotta di maglia, l'usbergo, l'elmo e i gambali, armati d'ascia, di spada corta e di lancia, con grandi scudi, erano l'aristocrazia che fin dall'infanzia si esercitava nell'arte della guerra; la fanteria era composta dai sudditi dei nobili, chiamati alla corvée della guerra. Generalmente erano i nobili stessi che provvedevano ad armare i propri sottoposti: la potenza di un esercito dipendeva spesso dalle risorse fondiarie del suo comandante. Non mancano però i ricchi borghesi ( mercanti, giuristi, vescovi-guerrieri, artigiani di livello) che si armano da soli: chi diventa cavaliere per ricchezza o per merito, e chi pur rimanendo nella fanteria si barda di tutto punto. 
I poveri partecipavano alla guerra in qualità di tiratori ( arcieri i poveri - i balestrieri erano artigiani o uomini con sufficiente denaro da acquistare un'arma costosa come la balestra ) o di serventi: pulizie, cucina, lavori manuali. I cavalieri al contrario avevano i propri scudieri per la cura dell'animale e della loro persona: ragazzi di fiducia, figli di amici o anche i propri stessi figli, troppo giovani per la guerra viva, ma abbastanza grandi per vederla da lontano. 

Le Città Libere, ossia i Comuni, che non sono feudo ma stato repubblicano, hanno un diverso sistema di reclutamento che va per censo: le categorie di militari si differenziano in quanto ognuno provvede a proprio armamento, ma tutti servono la Città combattendo. Sovente, sono le Confraternite o le Arti di appartenenza ad armare i propri appartenenti

L'esercito era accompagnato da sacerdoti e chierici, sia per la sepoltura dei morti, sia per le necessità spirituali - non scordiamoci che era una società profondamente permeata di spiritualità - e soprattutto nelle grandi guerre fra stati o Sovrani, perfino i vescovi - feudatari, quindi soggetti alla corvèe della guerra - seguivano i propri sovrani. In particolare il vescovo-conte, essendo sia suddito che feudatario a sua volta, offriva il proprio servizio al suo re partecipando con le proprie truppe alla campagna reale.

Nel caso di una lunga campagna militare, sappiamo della vita da campo nel Medioevo: erano tutt'altro che rari il concubinato - con donne rapite nelle razzie - e la presenza ai margini degli accampamenti di un piccolo grande mondo formato da mercanti d'armi, prostitute, sciacalli, disertori e bande mercenarie che si offrivano al pagatore migliore. Malattie a trasmissione sessuale e per via aerea erano frequentissime. 

Riferimenti bibliografici:
La Vita Quotidiana nell'Anno Mille, Fabbri Editori
Templari, Barbara Frale
Firenze nel Medioevo
La Grande Storia delle Crociate, Jean Richard
Rivista "Medioevo"


giovedì 2 ottobre 2014

L'agricoltura nell'anno Mille

Le terre attorno al villaggio erano quasi interamente coltivate. Si coltivava il "grano", che nel Medioevo non intendeva essere solo il frumento, ma anche segale, orzo, avena. Pane e farinata erano l'alimento base che mai mancava: i campi erano preziosi e venivano recintati secondo le assegnazioni, protetti con delle palizzate e sorvegliati costantemente. Si coltivava anche la canapa per farne i vestiti, e se il clima locale era benigno, vigneti e uliveti. Una porzione di campi era invece deputata all'ortofrutta.
La terra smette di essere fertile se viene notevolmente prosciugata per le coltivazioni, pertanto ogni due anni la si metteva a maggese, ossia a riposo: non si coltivava niente per un anno circa. Dopo di ciò, la si ripuliva estirpando le erbacce che, lasciate là, contribuivano a riformare l'humus. Altrimenti per fertilizzare la terra si possono bruciare già le erbacce sovracitate, prenderne le ceneri e cospargere con esse il seminabile. Questa tecnica si chiama "debbio". Il terzo metodo di fertilizzazione è di disperdere lo sterco animale sui campi.

I metodi di rotazione del terreno sono biennale e triennale. Il biennale, che consiste nel dare riposo dopo due anni di sfruttamento, era il metodo comune nell'Europa mediterranea, nel Poitou e nel Mezzogiorno di Francia. In Inghilterra, in Europa centrale e nei paesi scandinavi invece veniva eseguita la rotazione triennale, che consiste in un anno di "grano invernale" seminato in settembre ( grano, farro, segale), in un anno di "grano primaverile" ( avena, orzo) che si semina a marzo - al grano primaverile si poteva anche sostituire con i piselli, le fave o la veccia - e infine un anno di riposo. 
Si cercava ovunque di coltivare anche un vigneto: indispensabile il vino per la Messa, e anche come bevanda, era una delle più diffuse.I vigneti sorgevano spesso in collina presso i fiumi sufficientemente grandi da garantire il trasporto delle botti tramite piccole chiatte. Laon, in Francia, nel XII secolo si meritò l'appellativo di "capitale del vino" per la quantità immensa di prodotto che produceva. 

Per arare, generalmente si usava l'aratro, un attrezzo a mano o a ruote, con una lama in ferro, bronzo o anche in legno nei casi più poveri, che creava solchi nel terreno nei quali poi si gettava la semenza. 
L'aratro è generalmente tirato da buoi, molto lenti, o da cavalli se è ricco. Per mietere, ossia raccogliere il frutto del durissimo lavoro, si usa il falcetto. Vi erano pure esemplari dentellati ( cfr. André de Fleury - racconto dell'empio contadino). 

Si cercava di mietere lasciando la stoppa il più possibile alta, perché quei campi, fino alla semina nuova, saranno proprietà comune e quindi qualsiasi abitante del villaggio potrà passarvi e raccogliere ciò che serve per la sua abitazione ( stoppa per i cavalli o per la capanna), e il campo incolto diventa terreno di pascolo per qualsiasi gregge di qualsiasi pastore. Se un contadino aveva seminato piante foraggere ha diritto, allo spuntare dei frutti, alla prima falciatura: quanto ricrescerà su quel campo sarà ancora una volta proprietà comune. 

bibliografia: La Vita nell'Anno Mille, fabbri editori

lunedì 28 luglio 2014

Firenze - Come fu costruita la Cupola di Santa Maria del Fiore


La maestosa Cattedrale di Santa Maria del Fiore, orgoglio della Città di Firenze in ogni sua epoca, fu iniziata nel 1296 nel giorno 8 settembre. La Cupola era stata prevista più piccola dall'architetto originale, Arnolfo di Cambio; Quando la Città di Siena iniziò i lavori di ampliamento della propria cattedrale, i fiorentini vollero ancora una volta dimostrare di essere i migliori, e ampliarono il progetto con una Cupola di 45 metri, e un tamburo di 13. I lavori sarebbero dovuti essere svolti ad un'altezza di 55 metri dal suolo, un vero problema per l'epoca. Era l'anno 1420. Il progetto fu affidato a Filippo Brunelleschi, un promettente orafo, eccelso alchimista e architetto. Le ampie conoscenze della meccanica possedute dal Brunelleschi gli furono utili per costruire le macchine da lavoro. Le rivalità cittadine pur tuttavia vedevano favorito Lorenzo Ghiberti, altro artista di talento, al quale il Consiglio di Costruzione della Cupola dette il comando dei lavori; Filippo Brunelleschi, adirato per la scelta, si dette malato e senza la sua direzione i lavori si arrestarono. Ghiberti si definì incapace di continuare, fu destituito e Brunelleschi riabilitato come capocantiere. Appena l'altezza dei lavori si fece considerevole, nel 1426, Brunelleschi fece applicare alle impalcature un sistema di contrappesi e balaustre dimodoché i suoi operai non cadessero. La Cupola fu completata dieci anni più tardi, con un solo incidente mortale dovuto allo stato di ubriachezza dell'operaio: il Brunelleschi vietò di consumare alcolici sul lavoro, ed era l'anno 1422. Molto attento ai suoi lavoranti, Filippo Brunelleschi organizzò perfino delle impalcature con dei forni per i cuochi, in modo che i pasti fossero pronti e caldi direttamente sul luogo di lavoro, senza che gli operai scendessero e salissero in continuazione. 

Il segreto di una costruzione così ardua eppure riuscita sta nella tecnica edilizia di Brunelleschi. Egli applicò difatti su una base poligonale la tecnica della cupola a rotazione, sistemando i mattoni a spina di pesce, in modo da formare una elica cilindrica che creasse auto-sostegno. Inoltre, nelle cupole a basi ottagonali se i mattoni fossero stati messi e disposti secondo gli anelli ottagonali, in corrispondenza delle vele si sarebbero creati pericolosi angoli sul letto di posa, nel luogo ove gli sforzi dell'edificio sono maggiori. Per evitare quei pericolosi angoli sui raccordi delle vele, il Brunelleschi genialmente dispose i mattoni sugli otto costoloni della cupola, appartenenti a due vele adiacenti sul piano di giacitura, e ciascuno di questi piani è perpendicolare al corrispondente costolone di spigolo. In questo modo non si vennero a creare i famigerati angoli. Il Brunelleschi costruì una Cupola catenaria, che non necessitava così di rinforzi alla base per bilanciare il peso della costruzione, essendo all'interno un ellisse conico i cui meridiani erano sempre perpendicolari alle rispettive vele e costoloni. La Cupola interna, che regge tutta la struttura, ha uno spessore di 2, 20 metri; la Cupola esteriore protegge dalle intemperie quella interna. Nel 1436 Brunelleschi vinse il concorso per la decorazione della Cupola, dotandola così della Lanterna. 

La Cattedrale di Santa Maria del Fiore, con la sua cupola di 45 metri, è stata a lungo la Chiesa più grande della Cristianità. Adesso è la quarta in ordine di grandezza: San Pietro ( Roma), San Paolo ( Londra), il Duomo di Milano e infine di nuovo lei, in cima alla classifica. Un'opera imponente, costruita da un genio che, coi mezzi dell'epoca, ha costruito un gioiello che ancora oggi toglie il fiato, ogni volta che ci passiamo sotto. 

martedì 1 luglio 2014

Sighisoara nel Basso Medioevo e i "Sassoni di Transilvania"




Lo storico romeno Matei Cazacu, nella sua biografia sul Duca di Valacchia Vlad Tepes, detto Dracula ( ossia "il demone"), ci racconta anche di una delle etnie che popolavano la regione della Transilvania. Tra quelli che hanno colpito maggiormente la mia attenzione, tanto che ho voluto farci un articolo, sono i Sassoni di Transilvania, originali della Franconia Occidentale, stanziatisi nell'Alto Medioevo in questa regione, e nel Quattrocento ancora culturalmente indipendenti. 


Sighisoara: un borgo mercantile


Sighisoara era una delle città più importanti, assieme a Sibiu e Brasov, anche se la meno popolata fra queste, con appena duemila persone. Sibiu contava quattromila abitanti, Brasov seimila; questo è quanto emerge nel primo censimento effettuato nel XV secolo. Sighiosara aveva due cinte murarie, una per l'acropoli e una per la città bassa. Il governo della città era tripartito tra un Konigsrichter, ossia il Giudice della Stulh ( la confederazione delle città sassoni romene), tra il Sindaco e un Consiglio di Anziani. In città si parlava un dialetto germanico comune a trentacinque villaggi e borghi della regione,  raggruppati in tre capitoli ecclesiastici. Sighisoara era un luogo fortuito,  sorto sulla strada di collegamento tra Sibiu, il paese degli Szekely e la Valle di Mures, ricca di vigneti e terre coltivate: Sighisoara era una città mercantile, ricca di Corporazioni. Tra quelle segnalate troviamo calzolai, bottai, fabbri, tessitori, produttori di speroni, guantai, carradori, pellicciai, fonditori di campane, orafi, carpentieri, macellai, tornitori, muratori. La Città teneva il privilegio di poter tenere due fiere grandi all'anno, una prima di Quaresima e una la domenica dopo Pentecoste. Dal 1433 in poi i mercanti di Sighiosara ottennero privilegi mercantili in Moldavia.
I rampolli delle famiglie abbienti studiavano all'estero: le università di Vienna e Cracovia, nei registri che vanno dal 1377 al 1530, segnalano ben novantacinque giovani provenienti da Sighisoara. Il piccolo Dracula, che soggiornava nei suoi primi anni di vita proprio a Sighisoara, vide la costruzione della Chiesa di San Nicola ( 1345-1515) nella Città Alta e il Lebbrosario con la chiesetta annessa nella Città Bassa. L'attività edilizia nel Quattrocento era febbrile. 
Un dignitario ungherese in viaggio, Antonio Verancsics, nel Cinquecento ci ha regalato la descrizione dei costumi di questo popolo:
<< Hanno mantenuto fino ai nostri giorni costumi e lingua dei loro antenati. (...) i furti sono a loro ignoti; i cibi che mangiano sono sostanziosi, ma non raffinati. Sono molto dediti alla casa e desiderosi di accrescerne i beni e gli oggetti molto più che ogni altro popolo di questa provincia, e poiché non bramano i beni altrui, si accontentano tuttavia dei propri. Sono così desiderosi di costruire, di coltivare la terra e piantare vigneti, che nessun'altra terra in Transilvania è tanto bella e ricca e fertile di quella abitata dai Sassoni. I re d'Ungheria, vedendo questo, li hanno premiati con concessioni urbane e hanno permesso loro di circondare le proprie città con le mura. Oltre al censo abituale, viene loro chiesto del denaro ogni volta che i re lo desiderino, ed essi prontamente pagano volentieri, per nulla attaccati al denaro. (...) combattono a piedi, sono molto forti dietro le mura dei loro borghi, ma non resistono nelle battaglie in campo aperto. E' per questo che preferiscono partecipare ai conflitti col denaro, piuttosto che mandare le truppe. >>

L'Italiano Andrea Gromo ci informa che nel Cinquecento vi era una scuola cittadina sulla collina, offerta per tutti i bambini e pagata dal Comune stesso.

L'abbigliamento dei Sassoni

L'abito degli uomini è identico a quello degli ungheresi, ma con mantelli e tuniche più lunghi e ampi. Alcuni tra i sassoni non esitano a portare le loro pellicce pure nelle estati, anche col gran caldo, foderate di volpe o di lupo. I sacerdoti portano una veste color porpora, una cintura blu o rossa e sopra tutto ciò un lungo e ampio mantello che chiamano << reverenda >>. (1) L'abito delle donne non è molto appropriato alle ricorrenze: i vestiti sono stretti, impacciano i movimenti, e hanno pieghe solo lungo la schiena. Le donne lasciano scoperte la nuca e il collo fino alle spalle. Si coprono il petto con grandi placche d'oro e d'argento decorate con pietre preziose, ma sono così pesanti che appena queste signore si inchinano un po', scoprono già il seno, risvegliando per queste ragazze desideri illeciti o senso di vergogna in chi le guarda. Non si adornano le teste nè con ghirlande nè con nastri, ma portano i capelli sciolti. Indossano sovente un diadema di seta o d'argento, simile alle placche di cui sopra. Le donne maritate portano abiti lunghi e scuri, larghi e senza pieghe. Esse adoperano lunghi mantelli di pelo di coniglio non foderati, non ardiscono di indossare berretti nè di seta nè di pelliccia, ma usano un copricapo di cotone rosso o bianco. Inoltre, le vedove e le donne anziane si coprono il capo con un velo di cotone assai leggero. 

D. Frolich, Medulla Geographiae practicae

(1) ciò li identifica come ortodossi. La reverenda ancora oggi in lingua rumena è l'abito ecclesiastico ortodosso.

Rapporti con il mondo


I Sassoni transilvani erano posti all'interno del Regno d'Ungheria come "Confederazione" ( Universitas Saxorum ) composta da Nove Stuhle ( distretti) e dai due distretti indipendenti di Brasov e Bistrita. I rappresentanti delle Stuhle e i dignitari amministrativi e giudiziari si riunivano una volta l'anno, il 25 novembre, per deliberare su questioni di interesse generale e comune. Gli obblighi dei Sassoni verso gli Ungheresi erano i seguenti: il pagamento della tassa annuale, entro il giorno di S. Martino; pagamento della decima ecclesiastica; obbligo di fornire un numero fisso di soldati per l'esercito del Re - riscattabile in danaro; obbligo di fornire vitto e alloggio al Voivoda ( principe ) di Transilvania, più tardi esteso anche ai dignitari stranieri. Il Re d'Ungheria al contrario aveva l'obbligo di non porli sotto nessun nobile. Il diritto di costruire sempre le mura dei propri insediamenti comportò anche la nascita dei monasteri fortificati, sopratutto le chiese di villaggi al confine, denominate Kirchenburgen, con una architettura caratteristica che le identifica come sassoni. 

riadattato da: "Dracula" di Matei Cazacu

giovedì 20 febbraio 2014

La vita al castello di un Signorotto locale nell'Alto Medioevo

Si sa, chi lavora è il servo della gleba, colui che suda per il pane quotidiano, che vive se gli sta bene in case in pietra se siamo al nord, in laterizi se siamo al sud, se invece gli va male, in capanne di paglia o legno. Da chi dipende la vita del servus? dal dominus, dal Signore. Se prendiamo il periodo a cavallo con l'anno Mille, la situazione è alquanto interessante. La frammentazione feudale è all'apice, e offre occasioni a chi sa maneggiare le armi: ci si può fare anche da soli, se non si ha il sangue, ma se si sa combattere. Una ricerca francese del 1904 (1) offre una panoramica su 10'000 castelli, i quali distano tra loro non più di dieci chilometri. Si desume che i vassalli casati ( ossia "alloggiati", col proprio castello) fossero veramente tanti. 

Presupposti per la Signoria
Il Nobile, si sa, non cade dal cielo. Tramite l'investitura  - la quale sarà codificata più tardi, ma sicuramente doveva avvenire da molto tempo prima del XII secolo - un soggetto che ha reso importanti servigi al suo superiore - sia esso un grande vassallo a sua volta, o proprio al sovrano - viene insignito di un titolo più o meno ampio, che va dal semplice "cavalierato", ossia la possibilità di figurare a corte e di far parte dell'esercito in qualità di cavaliere, ad un titolo onorifico o reale, che comporta il governo di un territorio più o meno grande. In questo articolo ci occuperemo dei piccoli feudatari, non volendo scomodare Duchi di nessuna sorta, e neppure conti o marchesi. Generalmente le parentele di sangue hanno il gratificante effetto di essere nobili fin dal concepimento, e tutto ciò comporta privilegi ( o problemi ) di varia natura. Altrimenti, egli può esser divenuto signore per i servizi resi a importanti autorità, e lo abbiamo già detto. Ancora, egli può essere riconosciuto dopo essersi faticosamente creato il "suo" spazio: a capo di una banda, si era trovato un terreno incolto, lo aveva conquistato e vi aveva fatto valere i suoi diritti. Col tempo si era fatto riconoscere da un importante padrone della zona, il quale così lo ammette al rango di vassallo. Le armi in questo periodo fanno molte differenze. La "vestizione" del cavaliere avveniva dopo una cerimonia religiosa, nella quale venivano benedetti gli stendardi, le armi e il signorotto stesso dall'autorità ecclesiastica, alla presenza dei suoi pari, dei suoi superiori e del popolo. 

Il Castello e la sua economia

Immaginiamoci una famiglia sconosciuta, senza andare a cercare personaggi storici. Questo signorotto possiede il suo castello, volentieri in legno più che in pietra, circondato dal suo terreno diretto, nel quale magari vi è un villaggio e gli edifici di uso comune quali il forno, il pozzo, il mulino e i magazzini, che sono di sua proprietà e i quali sono soggetti a tassa d'uso: in altri termini, il servo che vuole usare un edificio comunitario deve pagare al signore un affitto. Accanto al terreno diretto abbiamo, se il possedimento è molto grande, delle porzioni di territorio affidate a contadini particolarmente agiati, i fittavoli, i quali a loro volta faranno lavorare i braccianti. Questi contadini sono entrambi obbligati a pagare la decima, ossia la percentuale sul raccolto, e a fornire prestazioni di validità comunitaria - costruzione o riparazione di infrastrutture, cinta muraria, lavori di varia utilità pubblica - le cosiddette corvée, che tuttavia risultavano molto onerose. L'agricoltura seguiva il ritmo stagionale e la rotazione triennale nei paesi mediterranei, quella biennale ( cereali un anno, pascolo/maggese il secondo) nei paesi nordici. 

la piccola corte del feudatario


Ogni signorotto che si rispetti doveva avere dietro di sè un séguito. Nel medioevo, l'uomo senza importanza non aveva nessuno accanto. Le donne di casa, moglie e figlie, non erano affatto confinate in ginecei di alcuna sorta, ma tutto sommato erano libere. Seguivano i suoi "fidi" come il comandante delle guardie, lo scrivano - il quale fungeva da segretario, da contabile e da molti altri ruoli culturali - e lo scudiero, che spesso era il figlio di una famiglia nobile alleata, e il maniscalco, ossia il guardiano dei cavalli, che presso le corti regie era una figura tenuta in gran conto. Il siniscalco era invece il servitore più anziano, una sorta di maggiordomo.
Comparivano poi, se si era fortunati, qualche chierico istruito, un erborista o un sedicente medico, uno studente di passaggio che aveva deciso di fermarsi; un poeta, un giullare. Le aule dei castelli erano comunque un ambiente vivo solamente di sera, quando calava la luce vesperale, perché la vita medievale si svolgeva all'aperto. Il Signore andava a caccia, col falcone o con la lancia, a cavallo; partecipava a tornei nelle signorie vicine o ne ospitava una egli stesso; si muoveva spesso in guerra, andava in pellegrinaggio se era pio, altrimenti andava in città regie o episcopali a combinare affari o a cercare il favore dei potenti, se era uomo di mondo. Sul mobilio medievale, sono rimaste davvero pochissime tracce, essendo di legno. Per quanto riguarda gli ospiti, alla tavola del nobile potevano benissimo esserci figli di altri nobili che egli stesso si era preso in carico come guardiani e scudieri, per istruirli; del resto, i suoi stessi figli erano coppieri o in affido presso altre famiglie con le quali vi erano vincoli d'amicizia o di sangue. 

Il feudo e la Chiesa

Una situazione particolare. Il feudatario considerava il sacerdote che predicava nel proprio territorio come un proprio suddito, ma quest'ultimo spediva le proprie decime alla propria sede episcopale, quindi spesso convergevano opposti interessi sul curato di villaggio. Senza dubbio i potenti ecclesiastici erano signori essi stessi, e disponevano di eserciti personali al pari dei laici. Ma se parliamo del sacerdote comune, ancora nel Mille sposato e quindi poco propenso ai viaggi, i rapporti erano di sana sudditanza. Il sacerdote era un servo del proprio signorotto, ma quest'ultimo cercava ad ogni modo di non scontentarlo, anche perché poteva incorrere in sanzioni che andavano dallo sborso di denaro alla scomunica, qualora il suddetto feudatario fosse eretico o desse modo di dubitare. La Chiesa certo benediva il ruolo del nobile, e aveva premura che i suoi figli ricevessero educazione. 

Il Signorotto e la guerra

La guerra è l'occupazione preferita del nobilotto medievale, secondo molte cronache dell'epoca. Il Signore poteva chiamare a raccolta tutti i suoi sudditi. La cavalleria era composta dai membri ricchi del feudo, che provvedevano da soli al mantenimento del cavallo, delle armi e dell'entourage che serve a tenere un tenore così alto: servitori, scudieri, maniscalchi, attrezzature per la pulizia delle armature, e quant'altro. La maggior parte della truppa, la fanteria, era composta dalla servitù e dalla "middle class" dell'epoca, ossia dagli artigiani o dai maestri di qualche attività, che grazie alle proprie entrate riuscivano a garantirsi un'arma decente e una protezione. Il soldato che proviene dalla classe dei servi, equipaggiato dal Signore stesso, solitamente aveva armi di seconda mano e armature leggere, o veniva messo nei tiratori. Le macchine da guerra costavano molto ed erano appannaggio del feudatario molto ricco, che le offriva all'armata. 

L'abbigliamento signorile e la cucina 
Concludo l'articolo sul signorotto laico con una piccola panoramica sugli abiti e sulle abitudini culinarie. Innanzi tutto, cosa si mangiava? Carne, carne e carne, cotta prevalentemente alla griglia o su rudimentali piastre, o su spiedini; la carne molto spesso era cacciata dal Signorotto stesso: tutto ciò tranne che in Quaresima o negli altri periodi digiunali prescritti dalla Chiesa, nelle quali si mangiava il pesce. Anche il tipo di pane era diverso: era bianco, di farina fine, mentre il volgo solitamente mangiava pane nero e il pane bianco era quello delle feste. L'uso ordinario di bevande alcoliche, quali vino e birra, per ogni pasto e non solo per le occasioni, è pure uno dei punti del menù di un aristocratico medievale. A concludere segnalano qualche dolce, prevalentemente a base di miele. Le spezie, che dopo le crociate saranno talmente diffuse da essere acquistabili da tutti, sono ancora invece piuttosto ricercate nell'anno Mille e arrivano solo alla tavola dei potenti. Formaggi, legumi, frutta e verdure di stagione accomunavano ricchi e poveri. Si mangiava con le mani, la forchetta ancora non era di moda; per tagliare i bocconi alla tavola dei signori vi era un apposito servo, che faceva i pezzetti in cucina, e  la carne era servita già spezzettata su ampie fette di pane o su focacce: questo identico modo di servire l'ho visto fare ancora oggi ad un ristorante etiope, dove sono bandite le forchette. Per quanto concerne l'abbigliamento, Rodolfo il Glabro ci  propone la seguente descrizione, per la verità non molto rosea ("indecenti" sono gli abiti), dell'abbigliamento dei signori che arrivarono a rendere omaggio al sovrano, provenienti dalla Aquitania, al seguito della regina Costanza. Tuniche corte dalle maniche pendenti con orli ricamati, con brache strette e fatue; le calzature sono dotate di "orecchie" che bordano i calzari, e infine indossano una cintura talmente stretta che accentua in modo ambiguo il posteriore. E parliamo di maschi: devo dar ragione al buon monaco Rodolfo, il quale aggiunge che oramai tutti in Francia e anche in Borgogna seguono queste mode a dir poco "piene di vanità". 
A quanto pare capelli lunghi, barba non rasata e tuniche lunghe erano la moda preponderante nell'Alto Medioevo al contrario un po' ovunque, e una certa filmografia ci ha tramandato questo genere di Medioevo. Diamola per buona. 

fonte:
La vita quotidiana nell'anno mille - Fabbri Editori
(1) effettuata da Camille Enlart su tutta la Francia.